Fra il 31 ottobre e il 12 novembre si terrà a Glasgow la 26esima Conferenza sul Clima. Il pianeta vi si avvicina con una traiettoria non allineata agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, ma la crisi energetica rischia di non essere un incentivo alla collaborazione internazionale su nuovi impegni
A partire dal prossimo 31 ottobre, la Cop26 di Glasgow (Regno Unito) sarà il terreno di confronto sui programmi nazionali volti a limitare il cambiamento climatico. Saranno presenti circa 120 leader mondiali, fra loro, però, non ci sarà il presidente cinese Xi Jinping, che guida il primo Paese in termini di emissioni, mentre la presenza di un altro attore cruciale, il premier indiano Narendra Modi, deve essere ancora confermata.
La necessità di impegni più ambiziosi
Al di là dell’attuale crisi energetica, lo sguardo di lungo periodo continua ad imporre ai leader mondiali una presa di coscienza. “Oggi il mondo non è sulla giusta strada per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi”, si legge sul sito ufficiale della Cop26, “gli obiettivi annunciati a Parigi si tradurrebbero in un riscaldamento ben superiore ai 3 gradi entro il 2100 rispetto ai livelli preindustriali”. Secondo un recente intervento dell’Agenzia internazionale dell’energia, inoltre, gli attuali piani in essere sulla riduzione della CO2 mancheranno il 60% dell’obiettivo sulle emissioni-zero nette entro il 2050. Per riportarsi in linea con il target l’Agenzia sostiene che sarebbero necessari 4mila miliardi di dollari in investimenti solo nel prossimo decennio.
Da un lato, dunque, ci sono i rapporti costi-benefici di breve periodo, dall’altro una sfida multigenerazionale: raggiungere nuovi impegni collettivi non sarà facile. Lo ha confermato in un’intervista rilasciata a Bloomberg il primo ministro britannico, Boris Johnson, prossimo ad assumere la funzione di “padrone di casa” della Cop26: “La conferenza sul clima è sempre stata sta estremamente tosta… avremo bisogno di vedere alcune azioni reali da parte dei partecipanti… impegni di peso”.
Secondo quanto afferma il programma della Cop26, che cita l’ultimo studio delle Nazioni Unite in materia, “per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi, il mondo deve dimezzare le emissioni nel prossimo decennio e azzerare le emissioni nette di carbonio entro la metà del secolo”. Non basta, dunque, che solo una parte degli Stati accettino di abbracciare la sfida: ognuno dovrà dare il suo contributo. Il primo ministro Johnson ha così sintetizzato la sua agenda: “Vogliamo che il mondo si allontani dal carbone entro il 2040 – il 2030 per le nazioni sviluppate, vogliamo assicurarci che tutti smettano di usare auto con motore a combustione interna alimentato a idrocarburi”, ha aggiunto il premier inglese, “e piantare milioni e milioni di alberi per riequilibrare la CO2 e ristabilire l’equilibrio della nature”. Proprio il carbone, il combustibile fossile con il maggiore impatto ambientale, è tornato un bene prezioso in questa fase di generalizzato rincaro delle materie prime energetiche, con un rialzo del 317% negli ultimi 12 mesi. Nonostante i piani di carbon neutrality, la Cina ha deciso di far funzionare la macchina estrattiva del Paese a pieno regime per rispondere alla crisi energetica in atto. Lo sguardo di tutti dovrà necessariamente volgersi più lontano, se si intende limitare il riscaldamento globale.