Cina, che fine ha fatto la guerra commerciale con gli Usa

Alberto Battaglia
21.7.2021
Tempo di lettura: 5'
A sei mesi dall'insediamento di Biden sul fronte dei dazi la rotta è rimasta quella tracciata da Trump

Le ragioni di conflitto fra Cina e Stati Uniti si sono fatte ancor più numerose nel 2021, dalle tensioni sullo spionaggio informatico alle accuse di genocidio lanciate su Pechino

La Segretaria del Tesoro, Janet Yellen, si è detta consapevole dei limiti degli accordi di Fase 1 lanciati a inizio 2020. La Cina non ha mantenuto buona parte delle promesse, ma Washington non ha ancora reagito

Anche se non conviene ammetterlo pubblicamente, il mantenimento dei dazi di Trump costituisce per Biden un'arma negoziale in vista di futuri accordi con la Cina

Sei mesi dopo l'insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, i rapporti fra gli Stati Uniti e la Cina sono cambiati soprattutto nei toni della copertura mediatica, che ha abbandonato il vocabolario belligerante introdotto da Donald Trump. Ma nella sostanza ben poco si è ammorbidito nelle relazioni fra le due potenze. La guerra commerciale avviata dal predecessore di Biden è rimasta, sotto ogni aspetto, esattamente là dove Trump l'aveva lasciata.

Nel programma elettorale di Biden la Cina ricopriva un ruolo del tutto marginale. Nessun impegno chiaro era stato assunto, a differenza dei capitoli dedicati alla Russia o all'Iran. Significativa era stata anche l'assenza della Cina nel primo discorso di politica estera tenuto da Biden lo scorso febbraio presso il Dipartimento di Stato, dominato dallo scenario mediorientale e dai rapporti con la Russia. Eppure, la partita strategica nei confronti del crescente potere cinese dovrebbe essere in cima ai pensieri della politica estera americana. Biden, che criticò l'atteggiamento di Trump nei confronti della Cina durante la campagna presidenziale, non ha ancora compiuto passi significativi per invertire la rotta tracciata dal predecessore.
L'attuale consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan, aveva sostenuto in un articolo pubblicato durante la campagna presidenziale del 2020 che gli esperti di politica estera avrebbero dovuto superare l'assunto “che fare più commercio è sempre la risposta”. Oggi, come ha fatto notare l'Economist, da parte della nuova amministrazione Usa non c'è alcuna “fretta di sbarazzarsi dei dazi di Trump”: per quanto questo approccio possa “non essere di suo gusto, potrebbero essere una leva per i futuri negoziati” con il Dragone. Sono dovuti passare quattro mesi dall'insediamento di Biden per avere notizia del primo contatto telefonico del rappresentante Usa per il Commercio, Katherine Tai con il vice premier cinese Liu He, il 27 maggio scorso. E' stato il primo confronto Usa-Cina sulla materia commerciale dall'agosto 2020.

Anche se è sparita dal lessico giornalistico, la guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti è ancora in atto. Washington continua applicare tariffe sull'importazione di prodotti cinesi per un controvalore di 360 miliardi di dollari.

Inoltre, l'accordo commerciale di Fase 1 raggiunto fra i due Paesi nel gennaio 2020 è stato clamorosamente disatteso da Pechino, che non ha importato dagli Usa le quote di prodotti concordate. L'accordo prevede l'importazione di beni e servizi americani aggiuntivi per 200 miliardi di dollari (rispetto ai livelli del 2017); tale obiettivo è stato mancato in una misura pari al 40% nel 2020 e al 30% in questa prima metà del 2021, ha calcolato il Peterson Institute for International Economics.

 



“Il tipo di accordo che ha negoziato la precedente amministrazione”, ha dichiarato Yellen in un'intervista al New York Times pubblicata il 16 luglio, “non ha risolto sotto molti aspetti i problemi fondamentali che abbiamo con la Cina”. Per il momento, però, gli Usa non hanno adottato alcun provvedimento correttivo.

Anche se venisse promessa la rimozione dei dazi, gli Stati Uniti avrebbero poche chance di pilotare le scelte di Pechino. Difficilmente, infatti, il partito Comunista cinese acconsentirebbe alla riduzione dei sussidi pubblici alle imprese che alterano la concorrenza fra le due maggiori economie mondiali.

Uno scenario che pende verso nuove tensioni


In questi primi sei mesi di presidenza Biden, poi, i motivi di contrasto fra Usa e Cina non sono affatto diminuiti. Lunedì 19 luglio la Casa Bianca ha pubblicamente accusato Pechino di aver appoggiato gruppo di criminali informatici coinvolti, in particolare, in un attacco al programma per le email di Microsoft. Il caso era scoppiato lo scorso marzo e aveva colpito, fra gli altri, anche l'Autorità bancaria europea (Eba). Vari diplomatici cinesi ha definito come “prive di basi” le accuse lanciate, in comune, dagli Usa e dai loro alleati.

Anche gli abusi perpetrati ai danni della popolazione uigura nella provincia cinese dello Xinjiang sono un altro tema di aperto contrasto fra le due potenze, con gli Usa che hanno apertamente accusato l'avversario di genocidio ai danni della minoranza di fede musulmana e inflitto, lo scorso marzo, le prime sanzioni ai danni di alcuni funzionari cinesi coinvolti.

La volontà di rappresentare l'America come il leader occidentale che si oppone all'ascesa delle autocrazie, il messaggio lanciato dal G7 tenutosi lo scorso giugno in Inghilterra, non fa che alimentare un clima già definito da “guerra fredda”. Nei fatti, le relazioni fra Usa e Cina non si sono affatto ammorbidite dopo Trump, Al contrario, sono forse ancor più difficili di prima.
Responsabile per l'area macroeonomica e assicurativa. Giornalista professionista, è laureato in Linguaggi dei media e diplomato in Giornalismo all'Università Cattolica

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