Secondo un nuovo rapporto dell’agenzia di rating Fitch, “uno stop totale alle forniture di gas [russo] ridurrebbe il Pil dell’Eurozona di 1,5-2 punti percentuali nel 2023
In coda alla classifica, con rincari energetici decisamente più contenuti, si trova l’Ungheria di Viktor Orban, riuscita ad aggiudicarsi consegne di gas a prezzi più convenienti proprio dalla Russia
Il costo finale dell’energia elettrica sostenuto dalle famiglie italiane è il secondo più elevato d’Europa, dietro al Regno Unito: un “argento” in negativo che l’Italia si è guadagnata nelle ultime settimane scavalcando i costi che gravano sulle famiglie tedesche. Per quanto riguarda invece la bolletta del gas, sempre al lordo degli aiuti fiscali, per le famiglie italiane i costi sono i quarti più alti d’Europa, dietro a quelli sostenuti in Olanda, Germania e Regno Unito. E’ quanto si evince dai dati di Energy.eu e pubblicati dal Financial Times.
In coda alla classifica, con rincari energetici decisamente più contenuti, si trova l’Ungheria di Viktor Orban, riuscita ad aggiudicarsi consegne di gas a prezzi più convenienti proprio dalla Russia (l’ultimo accordo è stato annunciato a fine luglio).
Prezzi calmierati, gli aiuti governativi
Ad incidere sul costo finale sostenuto dalle famiglie europee sono stati i vari provvedimenti di supporto adottati dai governi, che hanno ridotto l’impatto della crisi innescata dalla guerra in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni alla Russia. In rapporto al Pil, l’Italia risulta terza come intensità degli aiuti per calmierare i prezzi energetici, con interventi di entità superiore ai due punti e mezzo di prodotto interno lordo. Solo due piccoli Paesi, Grecia e Lituania, hanno speso di più in ragione della loro ricchezza prodotta (ben oltre il 3% del proprio Pil), secondo i dati raccolti dal think-tank Bruegel. Seguono, in questa classifica, Repubblica Ceca, Spagna e Austria.
Rincari in bolletta, non è finita
Il conto energetico rischia diventare ancora più caro dopo la decisione, ormai chiaramente politica da parte di Mosca, di tagliare le forniture di gas russo provenienti da Nord Stream 1. A partire da settembre, fra i gasdotti che collegano la Russia all’Europa, restano attivi il Turkstream e lo Ukraine gas transit, che fino al 29 agosto rappresentavano oltre due terzi delle forniture di gas russo per il Vecchio Continente. Nel caso in cui dovesse essere approvato un tetto al prezzo del gas per calmierare le speculazioni, Mosca potrebbe chiudere anche le esportazioni energetiche residue. “Non consegneremo nulla se è contrario ai nostri interessi, in questo caso economici. Né gas, né petrolio, né carbone. Niente”, ha dichiarato Vladimir Putin, intervenuto a Vladivostok (Russia).
Sono dichiarazioni che precedono di poche ore il meeting dei ministri dei governi dell’Ue sull’eventuale approvazione del price cap sul gas, in calendario per venerdì 9 settembre. I contenuti dell’accordo che potrebbe scaturire, secondo una bozza visionata da Reuters, potrebbero essere variabili: un tetto al prezzo del gas importato, un tetto per il gas utilizzato per la produzione di elettricità, oppure una rimozione temporanea delle centrali elettriche a gas dal sistema comunitario che determina i prezzi dell’energia elettrica. L’obiettivo, in ogni caso, sarebbe quello di alleggerire il peso della bolletta sulle spalle delle famiglie e delle imprese, in particolare quelle ad elevato consumo (qui abbiamo spiegato quali sono).
L’ombra della recessione è più vicina
Qualora l’Ue dovesse approvare il tetto al prezzo del gas e la Russia reagire come preannunciato, non le preoccupazioni sulla crescita economica europea e i timori di recessione non potrebbero che aumentare. Secondo un nuovo rapporto dell’agenzia di rating Fitch, infatti, “uno stop totale alle forniture di gas [russo] ridurrebbe il Pil dell’Eurozona di 1,5-2 punti percentuali nel 2023, rispetto alle nostre previsioni del Global Economic Outlook pubblicate a giugno, con una riduzione di circa 3 punti percentuali in Germania e 2,5 punti percentuali in Italia. E’ quindi sempre più probabile che una recessione dell’eurozona inizi nella seconda metà del 2022”, ossia, “quattro mesi prima di quanto avevamo ipotizzato nella nostra precedente analisi”.