I top five del mercato italiano del wealth management

Livia Caivano
Livia Caivano
5.12.2018
Tempo di lettura: 5'
Quali sono i primi gruppi italiani del private banking e com'è andata la raccolta nel 2018? We Wealth ne ha intervistato i protagonisti, per provare a capire in che direzione si muove l'industria e cosa dobbiamo aspettarci dal 2019

Raccolta netta di Fideuram - Intesa Sanpaolo Private Banking al 31/12/2017: 214, 2 miliardi di euro

Raccolta netta Unicredit al 31/12/2017: 123,9 miliardi di euro

Raccolta netta Banco Bpm al 31/12/2017: 39,3 miliardi di euro

Raccolta netta Ubi Top Private al 31/12/2017: 24,38 miliardi di euro

Raccolta netta Banca Generali al 31/12/2017: 22,6 miliardi di euro

Il wealth management accusa il colpo del calo dei prezzi dell'equity e dei bond: se a inizio anno l'industria ha tenuto i ritmi di crescita dell'anno precedente, negli ultimi mesi la raccolta netta sembra aver subito una brusca frenata. Nonostante questo, a giugno le attività nette si attestavano a poco più di 800 miliardi. Abbiamo intervistato i protagonisti del private banking italiano per capire come mai – e cosa dobbiamo aspettarci dal 2019.

Fideuram - ISP PB


Maggiore è la volatilità dei mercati, maggiore diventa il bisogno di aprirsi a asset class nuove. Magari, come nel caso di Intesa Sanpaolo Private Banking, facendo ricorso a quei “prodotti di risparmio gestito che riescano a fornire un frazionamento del rischio sui mercati globali in cambio, però, di un allungamento dell'orizzonte temporale dell'investimento”. E' questo il caso dei prodotti che investono nei private market, precisa Saverio Perissinotto, direttore generale ISPB, che hanno dimostrato di saper cogliere queste esigenze. L'interesse sta (molto) nelle forme di investimento di asset illiquidi, che possono beneficiare dei potenziali rendimenti senza però incrementare la volatilità dell'investimento. La raccolta netta del Private Banking di Intesa rimane nei primi 9 mesi dell'anno importante, le nuove masse superano i 4 miliardi. Un dato positivo, specie se si tiene conto del rallentamento sensibile dell'intera industria, in gran parte influenzato da incertezze politiche e mercati volatili. “Il nostro mestiere - insiste però Perissinotto - non si misura sui semestri ma piuttosto su un arco temporale di ampio respiro”. Allungare i tempi di investimento è un fattore sempre più strategico. “Il nostro lavoro è anche quello di cercare scelte di investimento che valgano per il medio periodo, bisogna rimanere coerenti con il proprio fine di investimento e rimanere disciplinati. La cosa peggiore è cambiare obiettivo di investimento in maniera inconsapevole, spinti dall'ansia”.

Cordusio Sim


2019, parola d'ordine: pricing. Uno dei temi sollevati da Mifid 2 è quello del costo della consulenza: “i clienti l'anno prossimo vedranno nero su bianco quello che pagano e verrà alla luce la differenza tra i promotori finanziari e i banker delle banche specializzate uni- versali”. Così Paolo Langé, amministratore delegato di Cordusio Sim (Gruppo Unicredit), si sbilancia nella previsione per l'anno che sta per iniziare. “L'industria del wealth management, per quanto riguarda i principali player - è il leit motiv dei top manager private della banca di Jean Pierre Mustier - si sta riposizionando verso l'alto, seguendo il trend di concentrazione della ricchezza. Il pricing sarà quindi più basso - rispetto alla clientela affluent - e questo significa minori margini”. Il sistema è alle prese quindi non solo con i costi imposti dalla nuova normativa
e innovazione tecnologica ma anche con il potere contrattuale dei clienti più facoltosi. “Pur essendo il wealth management un business a elevata crescita, crediamo che nel futuro i vincenti sa- ranno i grandi gruppi commerciali. Negli ultimi tempi sono spariti dal mercato alcune boutique, oppure sono state assorbite da gruppi più grandi. Nel 2019 vediamo un processo di concentrazione che andrà sempre più evolvendosi”. In questo Unicredit si vede avvantaggiata in Italia, insieme al Gruppo Intesa: “Non troviamo invece particolarmente brillanti le realtà straniere, perché hanno un limitato bacino di aziende corporate a cui attingere da cui spesso possono nascere relazioni anche per il wealth management”.

Banca Aletti


Di incerto per l'industria del wealth management, nel 2019 c'è (solo) il voto europeo. Insieme a Brexit sarà infatti questo il focus degli operatori, sostiene Alessandro Varaldo, amministratore delegato di Banca Aletti (Gruppo Banco BPM). Occorre arrivarci preparati e senza lasciarsi prendere dal panico: “i fondamentali – precisa ottimista l'ad
- confermano un contesto di crescita globale del 3%”. Nella seconda metà del 2019, “i tassi d'interesse saranno in via di risalita e, in presenza di fondamentali solidi, si prevede una maggiore disten- sione delle condizioni finanziarie”. E se l'economia non aiuta il private banking sarà il private banking ad aiutare l'eco- nomia, innescando un circolo vizioso e virtuoso dell'investimento. Il Forum Aipb tenutosi a metà novembre a Milano, si è interrogato a proposito del legame che unisce il risparmio delle famiglie e l'eco- nomia reale italiana. “Stiamo assistendo alla crescita dell'interesse verso prodotti orientati a questo obiettivo, come i Pir, i Fia, il Private Equity o il Private Debt. Da anni accompagniamo - con successo - i clienti con adeguato profilo di rischio all'investimento diretto in Spac selezio- nate. Non escludiamo in un prossimo futuro la possibilità di coinvolgere un selezionato target di clienti in club deal orientati a convogliare i risparmi delle famiglie private nostre clienti verso realtà imprenditoriali made in Italy che necessitino di un percorso di crescita ed espansione”.

Ubi Top Private


Dopo i Pir, gli Eltif. Se è vero che la volatilità spinge gli investitori sempre più tra le braccia degli asset più facil- mente liquidabili, lo è anche il bisogno di prodotti che invece mantengano l'investimento nel tempo. “Nel corso dei prossimi mesi cominceranno a venire collocati nuovi fondi chiusi Eltif – ci ha raccontato Riccardo Barbarini, responsabile Ubi Top Private - che hanno l'obiettivo di avvicinare anche i risparmiatori privati di casa nostra all'investimento illiquido”. Come We Wealth ha già raccontato, si tratta di fondi chiusi che investiranno prevalentemente in assets di Pmi, seguendo in parte i principi guida dei Pir. In attesa di vedere in che modo il mercato recepirà i nuovi strumenti, Ubi preferisce comunque tenere “un approccio prudente”. Il contesto di mercato “che complessi- vamente riteniamo ancora positivo – prosegue Barbarini - ci riserva ancora una certa volatilità, ci stiamo quindi attrezzando per gestire i portafogli della nostra clientela con un approccio più tattico rispetto al passato. Abbiamo intenzione di approcciare il mercato europeo con maggior circospezione anche nei primi mesi del 2019”. Ubi nel 2018 ha raggiunto quota 300, nel nu- mero di private relationship manager e la gestione di Ubi Top Private riguarda, al momento, circa 36 miliardi di euro di attività finanziarie.

Banca Generali


Da ormai diversi anni, chi fa private banking non può ignorare il tema del passaggio generazionale. Il tema è dominante, però il wealth planning nei fatti non decolla. Ne abbiamo parlato con Andrea Ragaini, vice direttore ge- nerale di Banca Generali con responsa- bilità sul Wealth Management: “Parlare del futuro è sempre difficile, ancora di più nel caso delle aziende: gli impren- ditori che hanno creato le loro aziende fanno fatica a pensarle dopo di loro. Guardano alla preservazione dell'azien- da ma tendono a rimandare il momento della scelta”. Un problema questo, molto culturale. All'estero il numero di imprese familiari non è più basso né più alto: “in Italia rappresenta il 76% delle imprese, in Germania ad esempio il 78”. Quello che cambia è il management: “In Italia – prosegue Ragaini - è per l'80% familiare e in Germania solo per il 30%. Se sei manager e allo stesso tempo azionista, fai ancora più fatica
a cambiare la direzione perché non devi passare solo le quote ma proprio il testimone della guida”. Qui entra in gioco il private banker: “se è bravo, riesce sedersi di fronte all'imprendito- re, accompagnato dagli interlocutori giusti, e a parlargli di come gestire una governance famigliare, senza sconten- tare nessuno”. Il passaggio genera- zionale si riduce poi con semplicità a questo: rimandare nel tempo, ma con consapevolezza, la decisione.

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