Nel “wealth management 3.0” i gestori dovrebbero aprirsi anche a soluzioni di tipo ibrido, in cui il rapporto con il consulente in carne ed ossa avviene a distanza, e alternative interamente digitale
In media, il cliente americano paga i servizi di wealth management circa 10mila dollari all’anno, nel segmento premium, e possono arrivare a 20mila dollari. “Livelli insostenibili se i gestori patrimoniali vogliono servire con profitto i clienti” in una fascia patrimoniale meno elevata, ha affermato Oliver Wyman
Introdurre capacità omnichannel complete, integrando la gestione umana con modelli di interazione ibridi e digitali distinti; differenziare e ridurre i costi per servire diverse tipologie di clienti attraverso la trasformazione del modello operativo e della tecnologia; infine, sviluppare un approccio sistematico per misurare, gestire e comunicare la creazione di valore con il supporto di dashboard digitali con informazioni in tempo reale. Sono queste le tre aree nelle quali l’industria della gestione patrimoniale dovrà investire maggiormente nei prossimi anni, secondo un nuovo rapporto realizzato dalla società di consulenza Oliver Wyman assieme con Morgan Stanley, “Time to evolve”. A doversi evolvere è un modello di business nel quali il wealth management “opera ancora su una base di costi ostinatamente elevata e poco flessibile”.
In media, il cliente americano paga i servizi di wealth management circa 10mila dollari all’anno, nel segmento premium, e possono arrivare a 20mila dollari. “Livelli insostenibili se i gestori patrimoniali vogliono servire con profitto i clienti” in una fascia patrimoniale meno elevata, ha affermato Oliver Wyman.
Raggiungere anche una clientela meno d’élite sarà sempre più importante a causa, solo per citare due fattori, della contrazione dei margini sui depositi e la migrazione verso prodotti meno costosi a gestione passiva. Aumentare la crescita degli asset in gestione mantenendo il rapporto fra costo e ricavi è dunque uno degli obiettivi per il settore nei prossimi anni. “Prevediamo che i bacini di profitto dei gestori patrimoniali siano a rischio”, ha affermato Oliver Wyman, “a meno che non si verifichi una trasformazione fondamentale dei modelli operativi e di servizio”.
Il wealth management dei prossimi anni
Nel “wealth management 3.0” i gestori dovrebbero aprirsi, dunque, anche a soluzioni di tipo ibrido, in cui il rapporto con il consulente in carne ed ossa avviene a distanza, e alternative interamente digitale. I costi, a quel punto dovrebbero scendere rispettivamente nel range dei 2mila-8mila euro annui e a 500-2mila dollari. “Le capacità tecnologiche”, si legge nel report, “stanno diventando più importanti delle sole economie di scala come motore dell’efficienza operativa, consentendo agli operatori più piccoli di competere più efficacemente”. Le aspettative della clientela stanno aumentando, con la richiesta di customer experience digitale di qualità superiore, per questo, secondo la società di consulenza, “i gestori patrimoniali devono sviluppare capacità di contenuto (digitale) che elevino realmente la relazione fra i clienti e i consulenti”.
Wealth management non d’élite
“Prevediamo che gli investitori Unhw con un patrimonio superiore a 50 milioni di dollari continueranno a guidare la creazione di ricchezza e rappresenteranno oltre il 40% della crescita della ricchezza totale entro il 2026”, ha affermato Oliver Wyman, aggiungendo subito dopo che, tuttavia, “questo segmento rappresenta meno del 15% del potenziale bacino di ricavi complessivo della gestione patrimoniale e meno del 20% della sua crescita”. Insomma, aprirsi alla clientela mass affluent appare un necessità, che la tecnologia potrebbe permettere di cogliere efficacemente. Finora però il focus della digitalizzazione si è concentrato “soprattutto sul miglioramento delle applicazioni rivolte ai clienti e sul miglioramento selettivo dei processi esistenti all’interno dell’infrastruttura esistente”. Per affrontare il problema dei margini in calo, bisognerà osare di più.