C’è chi è più portato a dare, chi è più portato a ricevere e chi invece da solo se riceve.
Nel suo libro “Give and take”, lo psicologo del lavoro e professore alla Wharton Business School Adam Grant ha teorizzato i tre modelli di reciprocità:
– Il giver, ossia colui (azienda o libero professionista) che antepone il dare al ricevere;
– il matcher, colui che nel rapporto dare-avere punta al pareggio;
– il taker, colui che prima chiede e poi offre.
Quello che si è scoperto è che – a differenza di quanto si possa pensare – lo stile di reciprocità del giver è quello che porta al maggior successo economico. E non solo: chi offre prima di chiedere riesce a conquistarsi la fiducia del prossimo e così migliora anche il proprio successo sociale e, in molti casi, anche la sua capacità persuasiva.
1) Reputazione: la reputazione di una persona (azienda) naturalmente generosa può essere migliore rispetto a quella di una persona notoriamente egoista che cerca solo il proprio tornaconto. Quando il cliente interagisce con un giver, ha la sensazione che il giver si prenda veramente cura dei suoi interessi e metta a sua disposizione tempo ed energie, mirando a creare relazioni vantaggiose per tutti.
2) Relazioni: le relazioni dei giver sono migliori di quelle delle persone che adottano stili di reciprocità differenti. Questo non dipende solo dalla loro reputazione, ma anche dal fatto che un giver costruisce relazioni con chiunque e non soltanto con coloro dai quali può aspettarsi qualcosa in cambio, come accade per i taker e anche per i matcher e questo, in molti casi, apre le porte a opportunità ad altri precluse.
3) Rete: la terza R è una conseguenza delle prime due; un’ottima reputazione e la capacità di costruire migliori relazioni determinano la creazione di reti di persone più ampie.
Perché non è così intuitivo essere giver?
A volte per mancanza di fiducia negli altri (chi offre per primo, teme di non essere contraccambiato o teme che l’altro ne possa approfittare).
Altre volte per evitare di auto-squalificarci (se regalo qualcosa, forse quella cosa viene vista come di poco valore).
Altre volte per pure dinamiche di calcolo strategico legate ai propri obiettivi.
Prendiamo ad esempio l’ambito aziendale. Ogni imprenditore sa che attraverso il suo lavoro deve soddisfare cinque tipi differenti di profitto: quello per la propria azienda, poi quello per sé stesso, in veste di imprenditore, quindi uno in favore dei collaboratori, uno in favore dei clienti e, infine, un profitto a vantaggio della “società”.
Normalmente si è portati a pensare che il profitto dell’azienda sia il “primo” a dover essere soddisfatto e che ci possiamo occupare degli altri livelli di profitto solo se avanzano tempo e risorse da dedicarvi.
Ecco perché un imprenditore potrebbe fare fatica ad adottare uno stile relazionale da giver. Gli imprenditori giver si concentrano, infatti, prima di tutto sulle esigenze dei propri dipendenti e collaboratori e questo permette loro di tirare fuori dagli stessi il massimo delle loro potenzialità, perché si assicurano di metterli nelle condizioni in cui possono avere tutti gli strumenti per esprimersi al meglio.
Il giver è per sua tendenza proiettato più a fare domande e ad ascoltare che a ordinare. Questo gli consente di comprendere attentamente gli scenari intorno a sé e di fare anche tesoro delle richieste altrui, cogliendo punti di vista nuovi a cui non avrebbe mai pensato.
Proprio perché interessato al suo prossimo, il giver si rivela anche un ottimo venditore. Riesce a fare le domande giuste al suo potenziale cliente, capire chi ha di fronte e quali sono le sue esigenze e proporgli l’acquisto del prodotto o servizio migliore per la sua condizione.
Si può imparare a essere giver?
Certamente. Occorre prima di tutto valorizzare il contributo che ciascuno può dare al bene collettivo. Un giver non pensa mai dicendo “io e te”, ma si esprime sempre dicendo “noi”.
In conclusione: il successo di chi è “altruista” è unico e duraturo: non crea divisioni, conduce a un risultato pieno e senza compromessi, si riflette positivamente su chi sta attorno, si diffonde anziché concentrarsi su una persona sola. In più essere altruisti non solo fa bene agli altri, ma (curiosamente) anche a se stessi.