La pandemia prima e ora la guerra hanno messo a dura prova le imprese italiane. Inflazione e catene di approvvigionamento sempre più intermittenti sono stati (e sono) infatti due fenomeni inattesi che hanno portato molte aziende sull’orlo del precipizio. Eppure, a ben vedere, come mostra l’ultimo report di BankItalia, i fallimenti sono stati molto meno di quanto ci si poteva aspettare. Il sostegno dello Stato è stata una manna dal cielo per molti attori, ma i problemi potrebbero presto ripresentarsi. Ecco perché rivolgersi ai professionisti della crisi d’impresa per molti sarà letteralmente una scelta di vita o di morte. Ne ha parlato a We Wealth Stefano Bennati, socio-fondatore e amministratore delegato di Europa Investimenti, società specializzata nelle Special Situation.
I numeri parlano chiaro: nonostante la pandemia i fallimenti in Italia sono diminuiti. Come si spiega questo fenomeno?
Stando all’ultimo report di Bankitalia sulla crisi d’impresa nel 2020 il numero di imprese fallite risulta significativamente inferiore agli anni precedenti: poco meno di 7.400 imprese hanno infatti avviato una procedura concorsuale liquidatoria, a fronte di quasi 11.000 nel 2019. Anche le imprese uscite dal mercato sono diminuite da un anno all’altro, passando da 70 mila a 50 mila: un calo del 27%. È fuor di dubbio come sia stato vitale in questo senso il supporto dello Stato. Dopo anni di preoccupazione per il sistema finanziario, il focus si è spostato d’un tratto dal salvare il sistema bancario a salvare le imprese. Nuovi finanziamenti sono stati erogati alle imprese che avevano esigenze di liquidità, a fronte di una garanzia statale rilasciata, tra gli altri, da Sace e Medio Credito centrale. Risultato: ci sono stati molti meno fallimenti e il sistema economico italiano ha conosciuto una ripresa generalizzata. Tuttavia, tra le aziende che hanno beneficiato dell’aiuto statale non ci sono solo aziende che erano solide prima della pandemia ma anche aziende che con questi finanziamenti sono andate a coprire delle perdite operative. In altre parole aziende che sono diventate finanziariamente più deboli, che potrebbero non essere in grado nel medio lungo periodo di ripagare i finanziamenti. Qualche segnale in questo senso si inizia già ad osservare, con la Npe delle banche che sta crescendo.
Dopo la pandemia, ora la guerra…
Eravamo in una fase di ripresa economica, anche sulla scorta emozionale delle persone che erano tornate a consumare. Ora ci troviamo di fronte a una situazione di nuova complessità. Anche qui ci sono interventi a livello statale e comunitario che cercheranno di rendere meno impattante la crisi, come la riduzione delle accise sui carburanti piuttosto che gli interventi a supporto delle bollette pagate dalle famiglie. Molte aziende che sono energivore si trovano davvero in difficoltà e in alcuni casi hanno già chiuso la produzione.
Cosa si intende per special situation?
Con questo termine noi intendiamo interventi aventi ad oggetto situazioni complesse di varia natura, relativi ad aziende in difficoltà finanziaria, siano esse in stato di insolvenza o di pre-insolvenza. Ogni situazione è una storia a sé stante – non a caso si parla di single name – e dunque si tratta di un’attività molto diversa da quella che può essere la tipica attività operativa che viene svolta quando si parla ad esempio di attività di recupero crediti massiva. Per certi versi è un’attività più simile al private equity.
Come si concretizza il vostro intervento?
Come Europa Investimenti dal 2007 ci siamo dedicati a fare investimenti di special situation, intervenendo come assuntori del concordato su quelle situazioni che sono bloccate da contenziosi ancora pendenti. Il curatore del fallimento ha magari realizzato solo parte dell’attivo e non riesce a distribuire le somme ai creditori per via dei contenziosi. Da una parte acceleriamo l’incasso da parte dei creditori delle somme spettanti – che spesso capita che stanno aspettando il loro denaro da trent’anni – dall’altra ci occupiamo della gestione liquidatoria degli asset residui. Realizziamo un capital gain laddove siamo stati bravi a valutare gli attivi residui rispetto al prezzo di acquisto dato dall’offerta ai creditori.
Guardando il mondo delle aziende ancora vive, generalmente interveniamo con tutti quelli strumenti che sono previsti dalla normativa fallimentare: dal concordato preventivo ai piani di risanamento. In tal modo aiutiamo quelle imprese che sono operativamente sane – per intenderci che hanno un ebitda sostenibile – ma che hanno una situazione debitoria insostenibile, a risolvere la situazione di crisi. Non affrontiamo invece quelle situazioni di turn-around industriale pesante, dove bisogna chiudere stabilimenti e licenziare le persone. Cerchiamo quelle realtà per cui un intervento finanziario è risolutivo.
In che stato è il mercato italiano?
Lato della domanda stiamo vedendo un numero di possibilità di intervento crescente, in tutti i settori. Da un punto di vista dell’offerta invece siamo ancora pochi ad intervenire in queste situazioni. Devo dire che per fortuna anche i grandi operatori istituzionali, come ad esempio Cdp, stanno cominciando a guardare anche alla possibilità di dare delle risorse a operatori come noi per intervenire in queste situazioni. Fino a poco tempo fa, di fatto gli interventi di questi grandi operatori istituzionali di matrice pubblica erano volti a sostenere l’impresa sana. Ora ci si rende conto che è opportuno anche aiutare le imprese in difficoltà.