La she-cession è (anche) un problema delle banche

Rita Annunziata
14.10.2021
Tempo di lettura: 5'
Alessandra Perrazzelli, Banca d'Italia: “La she-cession è una certezza. Necessari investimenti sul capitale umano. Il settore bancario e finanziario giocherà un ruolo primario”

I dipendenti globali del settore bancario sono quasi per la metà donne. Le impiegate rappresentano il 57%, i quadri superano un terzo, ma le dirigenti si bloccano al 16%

Il 20% delle banche non fornisce informazioni sulle differenze retributive tra donne e uomini, ma il 90% fa disclosure sulle ore medie di formazione annua per dipendente

È ormai assodato che le conseguenze economiche della pandemia abbiano ampliato le disparità fra i sessi, specie in ambito economico. La she-cession, ricorda Alessandra Perrazzelli, vice direttrice generale della Banca d'Italia in occasione del webinar “Banche e diversità di genere”, non è più un'ipotesi ma una certezza. E, in questo scenario, “si avverte fortemente l'esigenza di perseguire una maggiore sostenibilità che non può prescindere da investimenti sul capitale umano”. Per raggiungere questo obiettivo, aggiunge, il settore bancario e finanziario ha una grande responsabilità “perché gioca un ruolo primario nell'allocazione delle risorse e nella creazione del valore”. Ma, a sua volta, non manca di gap da colmare. Soprattutto quando si parla di donne ai vertici e di disclosure.
“Gli obblighi di comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario sono uno strumento fondamentale per accrescere la consapevolezza e la trasparenza delle banche su come i fattori di sostenibilità influiscono sui loro risultati e su quale sia l'impatto delle loro attività sulle persone e sull'ambiente”, osserva Perrazzelli. “In quest'ottica, incoraggiare e valorizzare la partecipazione delle donne, rimuovendo gli ostacoli anche culturali che permangono nel settore, dev'essere una priorità”, spiega, ricordando come i benefici in capo agli intermediari finanziari che favoriscono un ambiente diversificato e inclusivo “sono rilevanti anche dal punto di vista prudenziale perché la diversità è un bene essenziale che, specie negli organi di vertice, permette di combattere l'appiattimento delle idee, consente l'esercizio di una critica costruttiva e l'emergere di opinioni dissenzienti che rappresentano le componenti indispensabili per assicurare un processo decisionale robusto”.
Le dichiarazioni non finanziarie (dnf), interviene Emanuela Atripaldi, head of sector di Bankitalia, consentono agli istituti di “comunicare l'importanza della diversità di genere per la propria strategia” e il livello di dettaglio con cui queste tematiche vengono trattate può “rappresentare un indice del loro impegno e della loro volontà”. Stando a un'analisi condotta dalla banca centrale con il Centro Studi Valore D, circa tre quarti delle banche include la diversità e l'inclusione (d&i) tra i temi più rilevanti per l'organizzazione. Oltre la metà ne analizza i rischi relativi al personale (come la mancanza delle risorse o la difficoltà di attrarre talenti femminili) mentre circa un terzo considera unicamente i rischi di natura legale e reputazionale (connessi al mancato rispetto delle norme in materia di parità di trattamento sul luogo di lavoro).

Ma come si organizzano al proprio interno per gestire queste tematiche? “Si rileva un generalizzato impegno dell'organo di governo a valorizzare la diversità. La maggior parte lo fa attraverso policy più ampie, all'interno delle quali vengono introdotte regole sulla diversità e l'inclusione, mentre circa un quarto pubblica policy specifiche e diverse si impegnano ad adottarle in futuro”, spiega Atripaldi. La maggior parte, aggiunge, aderisce a iniziative esterne, mentre il 50% adotta programmi per la valorizzazione del talento femminile e un ulteriore 50% programmi di work-life balance. Quanto agli obiettivi che dichiarano di voler raggiungere nel medio-lungo periodo, la metà non evidenzia target chiari all'interno della dnf, l'altra metà esplicita obiettivi prevalentemente espressi in termini qualitativi (come il monitoraggio del gender pay gap) ma si distinguono anche diverse best practice che individuano obiettivi quantitativi attraverso key performance indicator (come le nuove assunzioni all'interno dell'organizzazione o la percentuale di donne ai livelli manageriali).

“Il 45% delle banche fornisce informazioni sul turnover per genere e area geografica o per genere e fascia di età, mentre solo il 15% per genere e tipologia contrattuale”, interviene Ulrike Sauerwald, research & knowledge management del Centro Studi Valore D. Il 20% precisa le motivazioni delle uscite, ma non per genere. Quanto ai congedi parentali, quasi la metà non riporta dati in questione, omettendo qualsiasi informazione quantitativa. Un terzo delle banche non diffonde informazioni neppure sui benefit erogati ai dipendenti, ma il 95% fa disclosure sulle ore medie di formazione annua per dipendente e il 90% sulle ore di formazione congiunti per genere e categoria professionale. Nel 20% dei casi esaminati, infine, gli istituti non forniscono informazioni sulle differenze retributive tra donne e uomini.

“Un potenziale impatto positivo dell'azione delle banche sulla collettività deriva anche dalle politiche di erogazione del credito a sostegno dell'imprenditoria femminile”, aggiunge Rita Cappariello del Servizio educazione finanziaria di Bankitalia. Ma ancora molto resta da fare, anche da questo punto di vista. “I mercati finanziari sembrano poco attenti al tema della parità di genere. Per esempio, tra le emissioni obbligazionarie italiane che perseguono gli obiettivi di sostenibilità elencati nell'Agenda 2030 dell'Onu ci sono quelli legati all'energia sostenibile e pulita, al contrasto al cambiamento climatico e alle città sostenibili. Sono ancora assenti strumenti obbligazionari che perseguono il target dell'uguaglianza di genere. In prospettiva, le banche possono colmare questo vuoto, spingendo l'offerta di investimenti e di prodotti verso obiettivi sulla diversità e l'inclusione”, conclude Cappariello.

Ricordiamo infine che, nei dati raccolti da Sauerwald, i dipendenti overall del settore bancario sono quasi per la metà donne. Le impiegate rappresentano il 57%, i quadri donne superano un terzo, ma le dirigenti si bloccano al 16%. “La direzione verso cui si sta andando è quella giusta, anche se è un lento processo di evoluzione”, osserva Perrazzelli. Per raggiungere la vera parità di genere non basta accontentarsi del rispetto di quote imposte dalla legge. Serve di più. Serve garantire parità di condizioni competitive tra i generi che richiedono innanzitutto di riequilibrare il gap salariale ma anche di approntare un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro”. Senza dimenticare la componente culturale, che passa dall'istruzione. “Occorre assicurarsi che tutti abbiano eguale accesso alla formazione di quelle competenze chiave indispensabili per una carriera di successo: digitali, tecnologiche e ambientali”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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