Nel 90% dei casi, le aziende si muovono sui mercati esteri in primis con l’esportazione e solo in un secondo momento viene avviata una scelta di internazionalizzazione
Il ruolo che il family business può interpretare sui mercati internazionali dipende dalla dimensione del mercato europeo e dal grado di internazionalizzazione del settore in cui si opera
E questo mosaico di elementi alla base del passaggio generazionale è visibile nel grafico 1, a corredo di questo articolo, realizzato da Claudio Devecchi, Former Full Professor of Strategy and Corporate Policy all’ Università Cattolica di Milano e fondatore di Cerif (Associazione CEntro di RIcerca sulle imprese di Famiglia) che ha condiviso con We Wealth l’esperienza dell’associazione che conta su un database di circa 2.500 family business che a vario titolo hanno collaborato con CERIF in circa 15 anni.
Dopo l’approfondimento sugli step da seguire per un passaggio generazionale di successo (leggi) l’analisi viene ora concentrata sulle strategie di sviluppo delle piccole e medie imprese (pmi) che decidono di affacciarsi sui mercati oltreconfine.
Ai temi dello sviluppo oltreconfine l’associazione CERIF ha dedicato particolare attenzione. Le ultime ricerche effettuate nel corso del biennio 2020-2021 hanno fornito evidenze che possono rappresentare un semplice manuale pronto per l’uso.
Innanzitutto bisogna chiarire lo scenario a cui facciamo riferimento quando si parla di attività all’estero. Nella maggior parte dei casi (l’ordine di grandezza è del 90%) le aziende si muovono sui mercati esteri in primis con l’esportazione e solo in un secondo momento viene avviata una scelta di internazionalizzazione, vale a dire puntare ad una stabile organizzazione produttiva e/o commerciale in un Paese diverso dal nostro.
Quali sono le variabili principali che influenzano questa scelta?
Ovviamente cambiano molto le decisioni a seconda di quello che un’azienda vuole o può esportare, vale a dire se si tratta di una tipologia di business B2B, B2C o anche C2C. Bisogna capire se si sta pensando ad installare uno stabilimento produttivo o un centro distributivo. Un secondo ordine di valutazione riguarda il peso dell’esportazione sul fatturato totale: è limitato (per esempio 5%) o predominante (ad esempio 70%)?
Sulle strategie operative del family business oltre confine pesano solo variabili quantitative?
Sulle decisioni di un’azienda pesano molto anche le esperienze vissute e le storie maturate, sono elementi preziosi che portano a decisioni differenti ma importantissime.
Le otto azioni da compiere
Ecco le risposte più ricorrenti ricevute dagli imprenditori appositamente intervistati da Cerif in questi ultimi due anni di pandemia:
- Mandare l’erede ad imparare il mestiere dell’agente di commercio di un certo Paese, là ove si vorrà essere presenti;
- Dare sei mesi di tempo all’erede per capire la realtà in cui ci si vuole inserire: usi, costumi, abitudini, sistemi di valori, qualità della vita, ecc.;
- Incontrare i funzionari di SACE, camere di commercio, Associazioni italo- paese di interesse per avere la loro mappa cognitiva;
- Commissionare studi di settore/comparto/mercati del Paese di interesse a realtà come CRIBIS, CERVED, LEANUS, ecc. da valutare insieme a un consulente finanziario per la realizzazione di un business plan su 2-3 anni.
- Individuare la Banca (preferibilmente italiana) di riferimento e con rappresentanze nel Paese target;
- Decidere quale erede avrà la responsabilità di questo processo e chi lo affiancherà nelle fasi iniziali di valutazione del territorio. Una scelta che in molti casi si è rivelata premiante è ingaggiare un temporary export manager esperto.
- Valutare accordi con imprese già radicate nel territorio in cui si intende svilupparsi. E, perché no, entrare nel capitale di una azienda concorrente o facente parte della filiera di quel Paese. Magari adottando partecipazioni incrociate o valutando alleanze, joint venture, ecc.;
- In conclusione la famiglia deve capire fin da subito che una strategia dello sviluppo ha anche (se non soprattutto) delle forti implicazioni economico-finanziarie, che dovrebbero essere approfondite.
Il ruolo che l’azienda può interpretare
I ruoli possono essere diversi e dipendono da due fattori principali: uno è la dimensione (grande o piccola) del mercato europeo per i prodotti offerti dall’impresa e l’altro il grado di internazionalizzazione (basso o elevato) del settore in cui opera l’impresa. A seconda di come si incrociano queste due variabili l’azienda potrà essere:
- Leader locale quando il mercato europeo dei prodotti ha dimensioni contenute e il grado di internazionalizzazione è basso, il che comporta basso rischio e modesta o nulla redditività;
- Leader internazionale o competitore significativo quando il mercato europeo è sempre di dimensioni contenute ma il gioco competitivo si svolge in ambiti geografici più ampi. In questo caso vi è buona redditività ma proprio per questo occorre fare attenzione ai possibili nuovi entranti;
- Competitore locale: quando il mercato europeo è di dimensioni più ampie e il gioco competitivo si svolge a livello locale. È una potenziale nicchia ricca ma è necessario fare forti alleanze o comprare competitor esistenti in quel Paese;
- Competitore marginale quando il mercato europeo è molto ampio e la competizione si svolge su scala internazionale: alto rischio e debolezza. In questo caso le uniche due opzioni sono disinvestire o crescere.
Per competere in maniera significativa bisogna puntare sullo sviluppo dimensionale cambiando alcune delle proprie caratteristiche ma alcuni imprenditori non vogliono cambiare la natura della propria impresa e preferiscono rimanere competitori marginali, oppure si impegnano in operazioni di segmentazione dei mercati in modo da individuare dei mercati di minori dimensioni costituiti solo dai prodotti di alta qualità dove le singole pmi possono svolgere un ruolo di rilievo.