Ecco perché le big tech continuano a scappare dalla Cina

3.11.2021
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Dopo LinkedIn anche Yahoo! annuncia la decisione di ritirarsi dalla Cina, lamentando un “contesto commerciale e legale sempre più impegnativo”. Tutte le ragioni dietro la grande fuga delle big tech
Yahoo! ha bloccato i suoi servizi in Cina a partire dal 1° novembre, sottolineando di continuare a impegnarsi per i diritti dei propri utenti e per “un Internet libero e aperto”
La mossa segue quella di Microsoft, che ha staccato la spina alla versione cinese di LinkedIn lo scorso mese. Ma anche il caso del videogioco “Fortnite Night”
Il 20 agosto il Congresso del popolo ha approvato la prima legge sulla privacy sul web, in vigore dal 1° novembre. Ecco cosa prevede
Prima la serie di indagini anti-monopolio su alcune delle più grandi aziende tecnologiche, che ha visto Alibaba (tra le altre) incassare una maxi multa da 2,8 miliardi di dollari per abuso di posizione dominante nel mese di aprile, poi il via libera del Congresso del popolo alla prima legge sulla privacy sul web. Il clima, in Cina, diventa sempre più angusto per le big tech. E la “grande fuga” dalla Terra del Dragone non fa che mettere in luce quella che è una netta spaccatura con l'altra parte dell'Oceano Pacifico.
Nella giornata del 2 novembre Yahoo! ha annunciato la decisione di abbandonare la Cina continentale a causa di un “contesto legale e commerciale sempre più impegnativo”, come riferito da un portavoce all'agenzia Reuters. La società di Sunnyvale ha bloccato i suoi servizi a partire dal 1° novembre, sottolineando di continuare a impegnarsi per i diritti dei propri utenti e per “un Internet libero e aperto”. Yahoo! aveva già notevolmente ridimensionato la sua presenza in Cina negli ultimi anni, chiudendo il suo ufficio di Pechino nel 2015. Inoltre, diversi servizi e il portale web erano già stati bloccati nel 2013 a causa del “Great Firewall” (il “grande muro digitale” che ha colpito anche Facebook e Google, ndr), restando visibili unicamente attraverso l'adozione di Vpn.
La mossa segue quella di Microsoft, che ha staccato la spina alla versione cinese di LinkedIn lo scorso mese. I vertici del social network, in una nota, avevano lamentato a tal proposito un “ambiente operativo più impegnativo e maggiori requisiti di conformità”. La decisione, inoltre, aveva fatto seguito alla chiusura di diversi profili di attivisti per la difesa dei diritti umani, accademici e giornalisti, accusati di diffondere contenuti vietati.
Nella carrellata di colossi in fuga rientra infine anche “Fortnite Night”, il videogioco di proprietà di Epic Games, che sarà disponibile in una versione “test” fino al 15 novembre prima che il server che lo ospita venga chiuso dalla società. Una decisione che, stando ai rumors, potrebbe essere legata alla stretta governativa sul settore, che consente l'accesso ai minori ai giochi online per solo un'ora al giorno nel fine settimana e nei festivi.
Ricordiamo inoltre, come anticipato in apertura, che lo scorso 20 agosto il Congresso del popolo ha approvato la prima legge sulla privacy sul web, in vigore dal 1° novembre. La normativa impone nuovi paletti alle aziende tecnologiche cinesi, limitando “al minimo il trattamento delle informazioni personali” oltre a stabilire che tale trattamento debba avere “uno scopo chiaro e ragionevole”. Per di più, le imprese dovranno ottenere il consenso degli individui coinvolti, identificare un responsabile della protezione dei dati e prevedere controlli periodici sulla conformità alla legge. Un regolamento, dunque, che aumenterebbe non solo i costi ma anche l'incertezza.
Nella carrellata di colossi in fuga rientra infine anche “Fortnite Night”, il videogioco di proprietà di Epic Games, che sarà disponibile in una versione “test” fino al 15 novembre prima che il server che lo ospita venga chiuso dalla società. Una decisione che, stando ai rumors, potrebbe essere legata alla stretta governativa sul settore, che consente l'accesso ai minori ai giochi online per solo un'ora al giorno nel fine settimana e nei festivi.
Ricordiamo inoltre, come anticipato in apertura, che lo scorso 20 agosto il Congresso del popolo ha approvato la prima legge sulla privacy sul web, in vigore dal 1° novembre. La normativa impone nuovi paletti alle aziende tecnologiche cinesi, limitando “al minimo il trattamento delle informazioni personali” oltre a stabilire che tale trattamento debba avere “uno scopo chiaro e ragionevole”. Per di più, le imprese dovranno ottenere il consenso degli individui coinvolti, identificare un responsabile della protezione dei dati e prevedere controlli periodici sulla conformità alla legge. Un regolamento, dunque, che aumenterebbe non solo i costi ma anche l'incertezza.