Fra gli investitori istituzionali statunitensi è diffusa l’idea che raggiungere gli obiettivi sulle performance sarà più difficile nei prossimi anni. Per rispondere a questa sfida è stato aumentato il rischio complessivo dei portafogli
Solo il 54% degli attori istituzionali americani si aspetta di centrare gli obiettivi stabiliti sui ritorni degli investimenti per i prossimi tre anni. Un ottimismo contenuto, nonostante l’ampio superamento degli obiettivi fissati per il 2020: la performance media è stata del 12,3% contro il 6,3% atteso. Le circostanze straordinarie che hanno caratterizzato i mercati l’anno scorso, tuttavia, difficilmente estenderanno i propri effetti anche nel prossimo futuro. Infatti, il 40% degli intervistati afferma che la generazione di ritorni è una delle principali sfide attuali; per riuscire a vincerla, il 39% degli investitori istituzionali ha incrementato l’esposizione al rischio del portafoglio rispetto a tre anni fa. Più rischio nell’allocazione implica un maggior potenziale di crescita, ma anche maggiori livelli di “ansia”: il 37%, infatti, afferma di non essere pienamente a proprio agio rispetto all’esposizione attuale dei portafogli (il 12% del totale si dice del tutto a disagio).
“Lo studio di quest’anno segnala come i venti contrari abbiano messo sotto pressione le aziende, spingendole a considerare l’assunzione di più rischi mentre cercano nuove fonti di rendimento”, ha detto Vadim Zlotnikov, presidente di Fidelity Asset Management Solutions e Fidelity Institutional Asset Management, “mentre consideriamo l’impatto dei potenziali cambiamenti macroeconomici futuri, si apre un’opportunità per gli investitori istituzionali: rivalutare le loro filosofie di investimento e i loro processi decisionali”.
Innovatori contro tradizionalisti: come cambiano le strategie degli investitori istituzionali
All’interno del rapporto Fidelity, gli investitori istituzionali sono stati chiamati a collocarsi all’interno di uno spettro che va dai più aperti alle innovazioni ai più tradizionalisti, con cinque “sfumature” complessive. L’approccio di investimento delle società agli estremi di questo schema, le più conservatrici e le più aperte alle novità, risulta piuttosto diverso. Oggi, gli attori istituzionali innovativi dedicano una fetta decisamente più consistente del portafoglio agli investimenti alternativi rispetto alle controparti tradizionaliste (23% contro 16%); allo stesso tempo, viene dedicato meno spazio alle azioni quotate (43% contro 49%) e alle obbligazioni (26% contro 29%). Ancor più marcate sono le modifiche che i due gruppi prevedono di apportare alla propria strategia da qui al 2025.
Il peso dei fondi a gestione attiva sarà incrementato nelle scelte del 50% degli “innovators/early adopters”, mentre farà la stessa cosa meno della metà delle controparti più conservatrici. Al contrario, queste ultime prevedono di dare un maggior peso ai fondi a gestione passiva “tradizionali” (29%), mentre i fondi passivi “non tradizionali” attirano maggiormente l’attenzione degli investitori istituzionali più aperti alle novità.
Gli attori più innovativi mostrano una particolare preferenza verso i gestori attivi con mandati flessibili: vi ricorrono il 42% degli investitori istituzionali appartenenti a questo gruppo, contro il 24% dei tradizionalisti. “La stragrande maggioranza (93%) degli innovators/early adopters crede che ci sia valore nelle opportunità di investimento a breve termine, e apprezza una più ampia discrezione nel fare cambiamenti tattici di portafoglio”, afferma il report. Il valore degli adeguamenti tattici di portafoglio, invece, convince un più contenuto 70% degli investitori istituzionali tradizionalisti.
“Non c’è un approccio giusto o sbagliato all’innovazione”, ha concluso Zlotnik, “ma analizzando le diverse filosofie di investimento, speriamo di capire meglio e sostenere i bisogni e gli obiettivi particolari degli investitori istituzionali lungo lo spettro degli innovatori”.