Le obbligazioni, con le loro cedole programmate e la promessa della restituzione del capitale attirano maggiormente investitori con un profilo di rischio più prudente. Questo non significa che siano prodotti per i quali si può facilmente applicare l’etichetta di investimento più rilassato
In questa guida passiamo in rassegna le principali caratteristiche del prodotto obbligazionario, le tipologie e la sua più tipica funzione in portafoglio
Nella più canonica delle allocazioni bilanciate, i bond costituiscono il 40% delle risorse, mentre alle azioni viene destinato il restante 60%. Chi ha un po’ di familiarità con i mercati troverà interessante, nel dibattito attuale, leggere le varie opinioni sull’utilità dei bond in portafoglio, che per molti è in declino. In questa breve guida, però, ci manterremo su un livello più generale. Cercheremo di capire le principali caratteristiche dei titoli obbligazionari, le varie tipologie e perché può valere la pena metterle nel paniere.
Definizione di obbligazione
L’obbligazione (o bond) è un titolo di credito. Il rapporto che si instaura tra l’emittente e il portatore (bondholder) è quello, rispettivamente, di debitore e creditore. Chi acquista un’obbligazione all’atto dell’emissione, ossia sul mercato primario, presta una somma di denaro a un’impresa, a uno Stato od altre entità. In cambio riceverà un interesse per tutta la durata del titolo, che verrà versato periodicamente (la cedola). Al termine del contratto, l’emittente restituisce il capitale ricevuto. Da questa prima descrizione basilare si comprende subito perché l’obbligazione sia considerata un investimento più “tranquillo”, rispetto a un’azione: il rendimento è solitamente prestabilito e a scadenza il capitale viene restituito.
Nella realtà, le cose possono farsi più complicate. Infatti il primo rischio da tenere in considerazione è che più la scadenza è lunga, più è difficile prevedere se l’emittente sarà in grado o meno di restituire il denaro ricevuto. Anche per questo le agenzie di rating ricevono sontuosi pagamenti dalle imprese per offrire agli investitori una valutazione del loro merito di credito. Senza un rating, un giudizio sulla capacità di rimborsare i creditori, sarebbe molto difficile per gli investitori valutare quanti interessi “chiedere” all’emittente in cambio dell’obbligazione. E nel dubbio li chiederebbe sicuramente più alti. Non stupirà, dunque, sapere che le obbligazioni che promettono i rendimenti più elevati sono quelle a più lunga scadenza, offerte dagli emittenti meno solidi ed affidabili (o privi di rating). Acquistare un’obbligazione di questo tipo è tutt’altro che un investimento tranquillo. Vale lo stesso anche per i fondi che, in cambio di rendimenti più elevati, si concentrano su debiti di società “spazzatura”, come nel gergo vengono chiamate le società con rating basso (ossia, al di sotto la soglia investment grade).
A questo punto possiamo introdurre l’ultimo aspetto generale di indispensabile comprensione. Oltre al rendimento, l’obbligazione ha anche un prezzo che ne definisce il valore in ogni momento della sua “esistenza”. L’investitore, infatti, può decidere di vendere l’obbligazione prima della scadenza, sul mercato secondario, nel quale gli scambi non avvengono più tra l’emittente e il creditore, ma fra due investitori. Il prezzo dell’obbligazione può essere anche molto volatile: ritrovarsi nella condizione di dover vendere prima del tempo può dunque far perdere denaro all’obbligazionista. La relazione fondamentale da ricordare è che gli interessi offerti dall’emittente nelle nuove emissioni influenzano il prezzo dei titoli obbligazionari emessi in precedenza. Se il rendimento sale, il prezzo dei bond scende e viceversa. La ragione di questa relazione inversa fra prezzo e rendimento è presto spiegata. Se lo stesso emittente decide di offrire più interessi ai suoi nuovi obbligazionisti una ragione, di solito, c’è: magari gli affari della società stanno andando male e hanno messo i conti in difficoltà, oppure è aumentata l’inflazione e il rendimento nominale deve crescere per offrire agli investitori il medesimo guadagno, al netto della crescita dei prezzi. In ogni caso, l’immissione di titoli che hanno lo stesso emittente a rendimenti più elevati, fa scendere di prezzo i titoli emessi in precedenza, che rendono meno di quelli nuovi. Necessariamente, devono valere di meno.
L’obbligazione, dunque, è un investimento più tranquillo a patto che l’emittente resti solido e che l’investitore si possa permettere di mantenere il titolo fino a scadenza. Non solo, anche l’aumento dell’inflazione è un fattore da considerare. La terza cosa che l’obbligazionista si deve augurare, dunque, è che l’inflazione resti costante o diminuisca nel corso della vita del titolo, poiché un incremento inatteso andrebbe ad erodere il rendimento reale del titolo.
Non complichiamo troppo le cose, ma se si decide di acquistare un’obbligazione in monete diverse dall’euro, questo è un altro fattore di cui preoccuparsi: il rischio-cambio. Nessuno vuole ricevere una cedola (e infine il capitale) in moneta che ha perso gran parte del suo valore rispetto a quella del proprio Paese, come sanno bene gli sfortunati creditori della Turchia.
Le obbligazioni ordinarie
Nell’universo dei bond esistono diverse sottocategorie. L’obbligazione ordinaria è quella fin qui delineata e che può essere definita come “un titolo di credito che conferisce al possessore il diritto di ricevere il rimborso del capitale nominale alla scadenza del prestito obbligazionario più una remunerazione a titolo di interesse sotto forma di cedole periodiche” (Borsa Italiana).
Le obbligazioni strutturate
Categoria di prodotto più complessa e destinata a una platea finanziariamente più istruita, l’obbligazione strutturata è composta da più elementi. Una prima parte è di tipo ordinario e ha un rendimento prefissato. Un’altra, invece, prevede un rendimento variabile collegato (o meglio, derivato) da altri fattori, quali l’andamento di un particolare indice. L’obbligazione, insomma, incorpora uno o più contratti derivati (swap, opzioni) che rendono più complessa la valutazione del rendimento finale.
Le obbligazioni convertibili
Nel contratto di un’obbligazione convertibile al creditore viene data la facoltà di diventare azionista della società (non necessariamente quella emittente) convertendo il titolo di credito in titolo azionario. Questo avviene in finestre temporali e con rapporti di cambio prestabiliti. Se il prezzo dell’azione raggiungerà un livello conveniente, l’obbligazionista potrebbe approfittare dell’opportunità esercitando la conversione. L’emittente, in cambio di questa opzione concessa agli investitori, offrirà un rendimento inferiore rispetto all’obbligazione ordinaria di pari rischiosità. Per questo, chi acquista un bond convertibile solitamente spera di poter approfittare di una conversione a condizioni vantaggiose. Ma se il titolo azionario della società dovesse andare male in Borsa, ci si potrebbe sempre accontentare della “certezza” delle cedole.
I bond italiani
Le obbligazioni governative si distinguono per la natura giuridica dell’emittente, che non è un soggetto privato, bensì uno Stato. Appartengono a questa categoria i Buoni ordinari del tesoro (Bot), i Certificati del Tesoro zero-coupon (Ctz) Buoni del Tesoro poliennali (Btp), i Certificati di credito del tesoro (Cct). Ciascuno di questi contratti ha particolari peculiarità su cui non ci dilunghiamo. Appartengono alla stessa categoria anche i Bund tedeschi o i Treasury Bond americani, ma anche i titoli assimilati come i Buoni fruttiferi postali. Per i contribuenti italiani la gran parte dei titoli di Stato emessi nel mondo godono di una tassazione agevolata sui rendimenti (12,5% anziché 26%) e sono esclusi dalla tassa di successione.
I green bond
Nell’universo della finanza sostenibile i green bond sono una tipologia di investimento che permette di finanziare direttamente progetti ad positivo impatto ecologico da parte delle aziende. Il green bond è tale se finanzia progetti che rispettano determinati requisiti.
I minibond (e come funzionano)
Le obbligazioni emesse da piccole società non quotate, i minibond, sono prodotti finanziari che offrono alle imprese un’opzione di finanziamento differente dal credito bancario. Per gli investitori fai-da-te non sono opportunità d’investimento consigliabili per via del maggiore rischio intrinseco (una piccola impresa è a maggiore rischio di insolvenza): solitamente il loro acquisto è riservato ad attori professionali.
Altri tipi di obbligazioni
Fra le altre, numerose, tipologie di bond alcune non possono non essere citate in questa guida. Le obbligazioni subordinate, ad esempio, si distinguono per il diverso trattamento dei bondholder in caso di dissesto finanziario. Questi ultimi parteciperanno alle perdite con maggiore probabilità, in modo analogo agli azionisti: pertanto, questi titoli prevedono un maggior rischio (e più alto rendimento).
Altra categoria è quella delle obbligazioni indicizzate, il cui tasso d’interesse è variabile: tipico esempio sono i bond indicizzati all’inflazione che sollevano l’investitore dal rischio di un inatteso aumento dei prezzi (che, come abbiamo visto, ridurrebbe il guadagno reale per l’obbligazionista).
Dove si acquistano le obbligazioni
La risposta a questa domanda, per un piccolo risparmiatore, è piuttosto semplice: ci si rivolge a un intermediario, tipicamente in banca. Quest’ultima avrà la possibilità di accedere ai mercati come il MOT di Borsa Italiana, su quale vengono scambiati i titoli. Ad esempio, il Btp Futura, un titolo riservato alla clientela al dettaglio, è acquistabile presso l’home banking personale, o presso lo sportello bancario o postale.
Come usare le obbligazioni per ottimizzare il profilo di investimento
Come abbiamo visto le caratteristiche delle obbligazioni sono decisamente diverse da quelle delle azioni. Per comprendere il ruolo che possono assumere in portafoglio è opportuno considerare che la classe obbligazionaria registra rendimenti che, nel lungo periodo, sono nettamente inferiori a quella azionaria.
Un portafoglio che preveda anche una quota di obbligazioni, tuttavia, permetterà di moderare gli impatti dei crolli dei mercati sull’andamento del portafoglio – in cambio di un minore rendimento nell’orizzonte di lungo termine. Storicamente, infatti, i momenti negativi del mercato azionario tendono a rafforzare la domanda di obbligazioni degli emittenti più solidi (un fenomeno noto come “volo verso la qualità” o “flight-to-quality“, nel gergo finanziario). L’inclusione in portafoglio dei Treasury americani o dei Bund tedeschi servirà a ridurre la volatilità del portafoglio, essendo considerati il riparo sicuro che i mercati scelgono quando le azioni vanno in crisi.
In linea generale, un investitore giovane potrà permettersi di affrontare con maggiore serenità un temporaneo calo del suo portafoglio e per questo dovrebbe privilegiare le azioni ai bond. Opposto il caso di chi è prossimo alla pensione e che si appresta a decumulare il proprio risparmio per la terza età: in questo caso l’impatto di una crisi potrebbe creare danni che, nel più ristretto orizzonte temporale di un anziano, diventano irreparabili.