I rischi per le 60 banche (2 italiane) che finanziano di più il carbone

Rita Annunziata
17.4.2023
Tempo di lettura: 3'
Le 60 banche più grandi al mondo hanno investito 5.500 miliardi di dollari in combustibili fossili dal 2016, di cui 673 miliardi solo nel 2022. Ecco cosa rischiano

La Royal Bank of Canada ottiene il primo posto della classifica dei più grandi finanziatori di combustibili fossili, erogando 42,1 miliardi solo nel 2022 (per un totale di 253 miliardi dalla stipula dell’Accordi di Parigi)

Sercan Soylu, Morningstar Sustainalytics: “Il rischio reputazionale è elevato, soprattutto per le banche di grandi dimensioni che investono pesantemente in questi settori e sono molto criticate dai loro stakeholder”

La Royal Bank of Canada sottrae lo “scettro” a JpMorgan Chase, collocandosi prima nella classifica delle 60 banche più grandi al mondo che finanziano i combustibili fossili. Secondo un nuovo rapporto annuale dal titolo Banking on climate chaos - condotto da Rainforest Action Network, BankTrack, Indigenous Environmental Network, Oil Change International, Reclaim Finance, Sierra Club e Urgewald - la banca canadese ha erogato a favore dell’industria fossile 42,1 miliardi di dollari solo nel 2022, su un totale di 673 miliardi mobilitati a livello globale. JpMorgan Chase scivola al secondo posto con 39,2 miliardi, accompagnata sul podio da Wells Fargo con 38,8 miliardi. Nella top12 anche una banca europea, Bnp Paribas, con 20,8 miliardi di dollari erogati. Ma quali sono i rischi per le banche più esposte alle fonti fossili? Perché potrebbero essere penalizzate nel medio-lungo termine?


“Nonostante l’aumento degli impegni per l’azzeramento delle emissioni e gli ambiziosi obiettivi climatici, i finanziamenti bancari a progetti o aziende che utilizzano combustibili fossili sono ancora a livelli elevati”, conferma a We Wealth Sercan Soylu, Esg research director di Morningstar Sustainalytics. “Il rischio reputazionale (per gli istituti più esposti, ndr) è elevato, soprattutto per le banche di grandi dimensioni che investono pesantemente in questi settori e sono molto criticate dai loro stakeholder. Ma, in una prospettiva a più lungo termine, anche la misurazione dei rischi legati alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio è impegnativa per le banche. Non solo l’importo totale dei finanziamenti a progetti o aziende ad alta intensità di carbonio, ma anche la qualificazione dei progetti e i piani di decarbonizzazione delle aziende clienti delle banche sono fondamentali per l’esposizione complessiva al rischio di carbonio delle banche, soprattutto dal punto di vista finanziario e normativo”. Dal punto di vista regolamentare, continua Soylu, si prevede infatti che le normative del settore bancario e finanziario incorporino in modo più dettagliato la prospettiva del cambiamento climatico. E “un controllo normativo potenzialmente più severo sui finanziamenti legati al clima da parte delle banche potrebbe modificare in modo significativo l’ambiente competitivo”.


Finanziare il caos climatico: i rischi per le banche

In questo contesto, osserva l’esperto, gli istituti di credito potrebbero essere penalizzati nel medio-lungo termine nel caso in cui continuino a essere fortemente esposti a investimenti ad alta intensità di carbonio. In primis, per ragioni legate a possibili dietrofront degli azionisti. “Mentre i politici continuano a consolidare i loro impegni verso gli obiettivi net zero, l’industria finanziaria e le banche continuano a far parte di iniziative a livello settoriale come le alleanze net zero. Contrariamente a queste pratiche positive, la continuazione di forti investimenti o finanziamenti da parte del settore bancario nei progetti sui combustibili fossili può creare disagio tra gli azionisti; un livello di impegno più elevato che può portare a disinvestimenti azionari”, spiega Soylu.

 

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Un altro tema riguarda invece i clienti. “Sia i clienti aziendali o istituzionali che i clienti retail o wealth tendono a essere più consapevoli e sensibili alle pratiche delle banche sul clima”, dichiara Soylu. “Le banche che investono pesantemente in progetti non compatibili con il clima potrebbero iniziare a operare con tassi di rotazione più elevati e perdere opportunità di business. Il che potrebbe innescare cambiamenti anche nelle dinamiche competitive regionali e globali”. Infine, poiché si prevede che le normative bancarie integrino le questioni legate al clima, secondo Soylu gli istituti con un’elevata esposizione ai progetti sui combustibili fossili potrebbero essere soggetti a un rischio maggiore di violazione delle normative e potrebbero incorrere in multe impreviste. “Inoltre, dal punto di vista della stabilità finanziaria, essendo uno dei rischi imminenti, il cambiamento climatico continuerà a svolgere un ruolo importante nell’evoluzione dei sistemi complessivi di gestione del rischio. Qualsiasi potenziale modifica dei requisiti patrimoniali che scoraggi il finanziamento dei combustibili fossili potrebbe andare a discapito delle banche con una maggiore esposizione a progetti ad alto contenuto di carbonio”, conclude l’esperto.


Le banche che investono (di più) nei combustibili fossili

Nei sette anni successivi dall’Accordo di Parigi, le 60 banche più grandi al mondo analizzate nel rapporto hanno finanziato i combustibili fossili per 5.500 miliardi di dollari, di cui 673 miliardi solo nel 2022, come anticipato in apertura. A dominare la classifica sono una manciata di banche con sede negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone. Per la prima volta dal 2019, anno in cui risalgono le prime rilevazioni, la Royal Bank of Canada si è classificata al primo posto fornendo all’industria fossile 42,1 miliardi di finanziamenti (per un totale di 253 miliardi dal 2016). JpMorgan Chase mantiene la prima posizione per finanziamenti complessivi nei sette anni monitorati, con 424 miliardi di dollari. Mitsubishi Ufj financial group - con sede a Chiyoda, in Giappone - viene etichettato come il più grande finanziatore delle fonti fossili tra le banche asiatiche con 29,5 miliardi. Nella lista anche due italiane: Intesa Sanpaolo (3,2 miliardi di finanziamenti nel 2022, per un totale di 21,03 miliardi dal 2016) e UniCredit (5,7 miliardi nel 2022, per un totale di 42,8 miliardi in sette anni).

Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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