L. Fink: “Nei miei 44 anni in finanza, non ho mai visto niente di simile”
W. Buffett: “Sono dovuto arrivare a 89 anni prima di poter assistere a qualcosa di simile”
N. Roubini: “Gli investitori si sono basati su presupposti errati”
Nel tentativo di sostenere i mercati dal panico dell’emergenza sanitaria, la Federal Reserve ha varato un piano di stimoli straordinari a mercati fermi, che a molti ha ricordato il pacchetto disposto nel 2008. Un salvagente lanciato direttamente ai mercati, che ha però fatto scattare i campanelli d’allarme. Lunedì 9 marzo 2020 sarà infatti ricordato come il nuovo Black Monday (lunedì nero) dei mercati finanziari, scossi dalla potenza di covid-19. Destino beffardo, il 9 marzo 2009 i listini mondiali toccarono il più basso punto di una grande crisi finanziaria mondiale, i cui effetti si ripercuotono ancora oggi.
“Statevene in giro a lungo quanto me e vedrete capitare di tutto sui mercati”. Tuttavia, “sono dovuto arrivare a 89 anni prima di poter assistere a qualcosa di simile”. A parlare, questa volta, è Warren Buffett, in un’intervista alla Cnbc dal quartier generale della sua azienda, Berkshire Hathaway. Un mercato frenetico ed imprevedibile, secondo l’oracolo di Omaha, non deve però stupire:
“Se i mercati devono stare aperti ogni secondo, a notizie come questa non possono che reagire in questo modo”. Wall Street non è certo nuova a simili episodi: la Borsa americana “è stata presa dal panico un discreto numero di volte. Probabilmente non siamo di fronte ad un nuovo ottobre ‘87 (le cui cause ancora non sono chiare ndr), ma ad un’imitazione forse sì”.
A detta del magnate George Soros, ciò che fa riflettere non è tanto il perché i mercati abbiano reagito in maniera così aggressiva, ma perché ci abbiano messo così tanto. La risposta risiede nella cosiddetta “teoria della riflessività”. In sostanza, gli operatori di mercato hanno ignorato il coronavirus fino alla metà di febbraio, per poi svegliarsi tutti assieme e precipitarsi alle vendite. “Immagino la riflessività come un cerchio continuo dove la capacità di comprendere la situazione di mercato corre dietro ai fattori che si susseguono”.
A chiudere un quadro ove sembra prevalere il refrain niente sarà più come prima , “il peggio deve ancora venire” ha sentenziato al Financial Times ad inizio marzo Nouriel Roubini, economista noto per aver preannunciato la crisi 2008. La pandemia nella fase iniziale è stata accolta con una certa calma, perché “gli investitori si sono basati su presupposti errati”. Nel momento in cui è stato chiaro che il coranavirus non sarebbe stata una disgrazia limitata alla sola economia cinese, qualcosa è cambiato. A fronte del fatto che “il 20% dei prodotti di consumo globali arrivano dalla Cina”, è necessario attendersi ripercussioni ben oltre il primo semestre dell’anno.
A detta di Roubini, “le politiche fiscali reagiranno in maniera lenta”, mentre l’intero pianeta dovrà fare i conti con altri problemi di stampo internazionale: tra questi, “il conflitto tra Iran e Usa, l’incertezza politica dovuta alle elezioni negli Stati Uniti e le rinnovate tensioni tra Usa e Cina”.
Intanto, un altro rischio si profila all’orizzonte, un rischio che si lega all’enorme quantità di liquidità che è stata immessa nel sistema e che dovrà tradursi in qualcosa: è il rischio d’inflazione.