L’EY financial services Brexit tracker monitora le dichiarazioni pubbliche rilasciate da 222 delle più grandi società di servizi finanziari con operazioni significative in Uk
Guerreri: “A distanza di qualche anno dalla Brexit possiamo constatare che lo spostamento di società e persone è stato più limitato di quanto originalmente paventato”
Quanto alle principali destinazioni, al primo posto si posiziona Dublino con 36 aziende che hanno annunciato l’intenzione di trasferirvi operazioni o personale
Fuga da Londra? Sì, ma meno di quanto stimato. A quasi sei anni dal referendum che ha visto prevalere l’opzione Brexit, sono solo 7mila i banker che si preparano ad abbandonare la City (o l’hanno già abbandonata). Un dato in calo rispetto ai 7.600 stimati nel 2021 o ai 10.500 del 2017. Ma ancor più rispetto ai 12.500 in programma nel 2016, nei mesi immediatamente successivi alla consultazione elettorale quando tra molte aziende (specie quelle dell’investment banking) circolavano i timori di una Hard Brexit.
Sono i dati dell’ultimo EY financial services Brexit tracker, l’indice che monitora le dichiarazioni pubbliche rilasciate da 222 delle più grandi società di servizi finanziari con operazioni significative nel Regno Unito (tra banche, intermediari finanziari, gestori, assicurazioni, fintech e private equity). Analizzando nel dettaglio, il 44% ha già trasferito o prevede di trasferire alcune operazioni o membri del personale nell’Unione europea. Un dato rimasto pressappoco invariato nell’ultimo trimestre ma che ben si discosta da quanto stimato negli ultimi sei anni. Al contrario, il numero di nuove assunzioni pubblicamente collegate alla Brexit (sia in UK che in Europa) ha raggiunto quota 5.400 nel primo trimestre del 2022 da poco più di 5.000 dell’ultimo trimestre del 2021. Un incremento, si legge nel rapporto, principalmente legato all’aumento degli assunti a Londra
“Nei mesi successivi al referendum, le società finanziarie hanno espresso l’intenzione di rafforzare le filiali in Ue, spostare personale all’estero e trasferire la sede centrale in vista di tutti i possibili scenari analizzati”, spiega Omer Ali, Emeia financial services leader di EY. “L’elevato numero di potenziali ricollocazioni segnalato nel 2016 (12.500, ndr) era in linea con l’incertezza che caratterizzava le relazioni in corso tra la City e l’Europa in quel momento”, aggiunge. Ma man mano che le aziende hanno acquisito maggior chiarezza su quello che sarebbe stato il panorama post-Brexit, racconta Ali, i piani “sono stati consolidati” e in alcuni casi le aziende hanno rivisto al ribasso il numero di banker che avrebbero dovuto abbandonare la città sul Tamigi. Anche se, sebbene i numeri si siano stabilizzati, nei prossimi anni resterà “un certo grado di fluidità” mentre le aziende affronteranno le più attuali incertezze geopolitiche e le dinamiche post-pandemia.
Quanto alle principali destinazioni, al primo posto si posiziona Dublino con 36 aziende che hanno annunciato l’intenzione di trasferirvi operazioni o personale. Seguono il Lussemburgo che attira 29 aziende, Francoforte con 23 e Parigi con 21. Ma anche Madrid (8), Amsterdam (8), Milano (7) e Bruxelles (6). Con riferimento al numero di dipendenti che hanno abbandonato o intendono abbandonare la City, si posizionano sul podio Parigi (circa 2.800), Francoforte (circa 1.800) e Dublino (circa 1.200). Milano attira invece 180 banker.
“A distanza di qualche anno dalla Brexit possiamo constatare che lo spostamento di società e persone è stato più limitato di quanto originalmente paventato”, spiega a We Wealth Federico Guerreri, global financial services risk leader di EY. “Le destinazioni preferite sono state Dublino, per motivi di lingua, di prossimità e di vantaggi fiscali, e il Lussemburgo (soprattutto per l’asset management). La vicinanza territoriale ha premiato anche Parigi, raggiungibile comodamente in treno. Milano, per le motivazioni precedenti, è stata considerata destinazione meno preferita anche se comunque negli anni passati aveva già beneficiato del rientro di capitali e talenti da Londra grazie all’omonima legge del governo Renzi”.