Le esposizioni degli istituti di credito occidentali in Russia ammontano a 86 miliardi di dollari, con circa 40mila dipendenti nel vortice della crisi
UniCredit ha accantonato 1,3 miliardi di euro, avvertendo che potrebbe subire una perdita di 5,3 miliardi qualora l’intera attività russa fosse spazzata via
Voltare le spalle alla Russia costa alle banche occidentali 10 miliardi di dollari di accantonamenti. Mentre si preparano a sciogliere, in alcuni casi, oltre un secolo di relazioni. Basti pensare a UniCredit, che la scorsa settimana ha stanziato 1,3 miliardi di euro per reggere l’urto delle tensioni nell’Est Europa avvertendo che potrebbe subire una perdita di 5,3 miliardi qualora l’intera attività russa fosse spazzata via. Ma anche a Societe Generale, il cui primo ingresso a Mosca risale a 150 anni fa.
Secondo una nuova analisi del Financial Times, le esposizioni degli istituti di credito in Russia ammontano infatti a 86 miliardi di dollari, con circa 40mila dipendenti nel vortice della crisi. Ma, in previsione delle perdite, stanno mettendo da parte un “tesoretto” da 10 miliardi. Per UniCredit, come anticipato, si parla di 1,3 miliardi di euro su perdite potenziali pari a 5,3 miliardi. La banca, che conta 4mila lavoratori e 2 milioni di clienti in Russia, vanta una presenza nel Paese di 17 anni. Societe Generale, invece, ha accantonato 561 milioni di euro nel primo trimestre principalmente per la guerra russo-ucraina. Tra l’altro ha siglato un accordo nel mese di aprile per vendere la sua intera partecipazione in Rosbank e nelle controllate assicurative russe a Interros Capital, diventando la prima banca europea ad abbandonare il Paese e preparandosi a incassare un colpo da 3,1 miliardi di euro. L’esposizione dell’istituto francese alla Russia ammonta a 18 miliardi di euro, senza dimenticare i 3,1 milioni di clienti retail.
Crédit Agricole si prepara invece ad accantonare 389 milioni di euro in risposta alla sua esposizione in Russia e ha svalutato di 195 milioni di euro il valore totale della sua divisione ucraina. Ma la più esposta in assoluto, secondo i calcoli del quotidiano economico-finanziario britannico, è l’austriaca Raiffeisen con 4,2 milioni di clienti, 9.400 dipendenti e 22,9 miliardi di euro di attività. Nei primi tre mesi dell’anno, dal canto proprio, ha accantonato 319 milioni di euro principalmente legati alla guerra in Ucraina. Credit Suisse, che ha chiuso il trimestre in perdita per 273 milioni di franchi svizzeri, ha ridotto la propria esposizione verso la Russia a 373 milioni di franchi svizzeri (pari al 56% rispetto alla fine del 2021). Complessivamente, il conflitto ha influito negativamente sui suoi risultati per 206 milioni di franchi. Stando a quanto annunciato dall’amministratore delegato Thomas Gottstein, la maggior parte dei 125 dipendenti della banca in Russia sono attualmente in congedo retribuito. E quasi il 4% del patrimonio in gestione (pari a 28 miliardi di franchi) è legato a clienti russi.
C’è ancora Ubs, che lo scorso mese ha ridotto la sua esposizione a Mosca di 200 milioni portandola sui 400 milioni di euro, per un contraccolpo da 100 milioni di costi nel primo trimestre. Citigroup ha invece avvisato di perdite potenziali fino a 3 miliardi di dollari, legate alle sue operazioni nel Paese. E nel mese di aprile ha già accantonato 1 miliardo di dollari in tal senso. JpMorgan Chase ha accantonato circa 300 milioni di dollari, sebbene l’amministratore delegato Jamie Dimon avesse avvertito gli investitori a inizio aprile di perdite potenziali legate alla sua esposizione in Russia fino a un miliardo di dollari. Chiude il cerchio Goldman Sachs, che a marzo ha ridotto la propria esposizione a 260 milioni di dollari rispetto ai 650 milioni di dicembre e ha dichiarato che l’impatto della guerra sugli utili del primo trimestre ha raggiunto i 300 milioni di euro.