Checché ne dica il barone Pierre De Coubertain, quando si fa un investimento finanziario l’importante non è partecipare o provarci, ma vincere e guadagnarci.
Tuttavia, l’investitore deve saper anche perdere. Perché i mercati seguono i flussi e i flussi, in quanto tali, a volte oscillano verso l’alto, altre verso il basso.
Quando le cose vanno bene, è facile per tutti. Quando invece le cose vanno male, bisogna tenere il sangue freddo.
Infatti, di fronte alla perdita, subentrano dei meccanismi psicologici, delle vere e proprie distorsioni cognitive.
È stato dimostrato che l’essere umano, per sua natura, attribuisce a una perdita un peso maggiore rispetto a quello che attribuisce ai guadagni.
Questo concetto in psicologia e in finanza comportamentale prende il nome di “avversione alla perdita”.
Perdere una volta vale come due vittorie e mezzo
Spiegata con un esempio: se dopo aver fatto la spesa al supermercato ci accorgiamo di aver dimenticato i 2 euro nel carrello e subito dopo, tornado verso casa, trovassimo altri due euro per strada, dovremmo essere emotivamente neutrali rispetto ai due accadimenti: tanto abbiamo perso, tanto abbiamo guadagnato. Eppure, nel cervello umano il pensiero persistente sarà quello sui 2 euro persi.
Un altro esempio. Una persona scopre di aver guadagnato 1000 euro con i suoi investimenti. Poi però scopre che al netto delle tasse e dei costi di gestione, il suo guadagno effettivo sarà di soli 650 euro. Ebbene, c’è da scommetterci che rimarrà un poco deluso.
L’avversione alla perdita è un fenomeno che non interessa solo l’ambito finanziario ma ogni contesto in cui si verificano guadagni e perdite. Prendiamo il caso di un tifoso di calcio che la domenica guarda la partita della sua squadra. Durante il primo tempo dell’incontro, la squadra avversaria segna un gol su fuorigioco, che tuttavia viene convalidato per errore dall’arbitro. Nel secondo tempo, ecco che è la sua squadra a segnare un gol, sempre in fuorigioco, e sempre convalidato per errore dall’arbitro. Al di là del pessimo arbitraggio, il tifoso ricorderà con più amarezza il gol in fuorigioco subito rispetto a quello segnato, eppure il bilancio è neutro. Se l’arbitro non li avesse convalidati entrambi, il match si sarebbe concluso ugualmente in pareggio.
L’avversione alla perdita è una scoperta fondamentale della Prospect theory (Teoria del prospetto) sviluppata nel 1979 dagli psicologi ed economisti Daniel Kahneman e Amos Tversky. I due colleghi ricercatori hanno scoperto che perdere fa male 2,5 volte più del piacere scaturito dal guadagno di una stessa cifra. Significa che se perdessimo 10 euro, dovremmo guadagnarne 25 per sentirci emotivamente neutrali.
Perché accade l’avversione alla perdita?
Il motivo principale è che gli individui non valutano perdita e guadagno in modo oggettivo, ma secondo le loro aspettative.
Se si investono dei soldi in azioni, l’aspettativa è quella di guadagnarci.
Se si va al supermercato e si utilizzano due euro per il carrello, non ci si aspetta di lasciarli lì.
Se si tifa per la propria squadra, l’aspettativa è che vinca il match (o quantomeno non subisca errori arbitrali).
Cinque consigli per gestire l’avversione alla perdita
Nessuno è immune all’avversione alla perdita. Anche gli investitori più esperti soffrono di fronte ai mercati al ribasso. Però esistono determinate strategie per cercare di gestire l’impatto emotivo che le perdite possono avere sul proprio morale quando si affrontano degli investimenti.
Il primo consiglio è fare un investimento che sia adeguato al proprio profilo e alla propria propensione al rischio. È importante conoscere sé stessi e sapere cosa si vuole ottenere dai propri investimenti. Se siamo mal disposti a vedere oscillazioni negative del nostro patrimonio gli strumenti da scegliere sono quelli stabili e prudenti: poco guadagno, ma anche poche perdite.
Il secondo consiglio è entrare gradualmente nel mercato. Al posto di investire 10mila euro di colpo, è più saggio investire la stessa cifra con versamenti mensili periodici, come accade per i piani di accumulo che mediano i prezzi costantemente. In questo modo, si riduce l’emotività di un ingresso “totale”. Un conto è vedere una perdita su un capitale di qualche migliaio di euro, un conto è operare un versamento mensile di poche centinaia di euro quando i mercati hanno segno negativo, soprattutto se nei mesi precedenti il capitale totale dell’investimento è andato in positivo.
Il terzo consiglio è di contestualizzare la perdita entro un arco temporale lungo: 5/10 anni. L’avversione alla perdita è una reazione istintiva “miope”, che per fortuna dimentica facilmente le prospettive sul lungo termine. Poiché è proprio sul lungo termine che si gioca la partita finanziaria, e per vincerla sono utili anche i momenti di perdita.
Il quarto consiglio è sfruttare la perdita. Quando il mercato cala, è il momento migliore per investire, laddove invece molti liquidano il proprio investimento. Serve coraggio, o forse semplicemente un po’ più di sangue freddo. Certo, non si può diventare coraggiosi tutto d’un tratto. Però si può superare la paura acquisendo una maggiore consapevolezza sul fatto che i mercati sono ciclici. In questo modo, si riesce a dare una direzione più razionale e meno emotiva alle proprie scelte.
Il quinto consiglio è evitare di controllare ogni giorno il valore dei propri investimenti. Come? Ad esempio, pianificando dei momenti di controllo sul proprio calendario. Un controllo ogni sei mesi è già sufficiente per chi decide in un investimento sul medio o lungo termine. Meglio una volta l’anno. Se la strategia di partenza è stata corretta non ci saranno sorprese. Se ci sono sorprese, allora bisogna farsi delle domande sulla strategia e chiedere consiglio a un esperto di fiducia.
In conclusione l’avversione alla perdita è un fenomeno emotivo e non razionale. Per gestirla bisogna aggrapparsi alla razionalità altrimenti è meglio non investire sul mercato mobiliare.