L’impact investing parte da obiettivi specifici, come la salvaguardia degli oceani e l’uguaglianza di genere.
Questo approccio consente di quantificare i risultati ottenuti, fino a calcolare l’impatto di un singolo fondo sulla riduzione delle emissioni di carbonio (ma non solo).
Presa singolarmente, potrebbe sembrare un’informazione di poco conto. Invece racconta due cose importanti. La prima: quando parla di sostenibilità, la finanza, o almeno una parte di essa, ha deciso di fare sul serio.
Al punto che la narrazione sugli investimenti socialmente responsabili è supportata da numeri e argomentazioni sempre più solide, che non di rado lasciano trasparire una piena e sincera adesione, anche ai vertici delle organizzazioni che si occupano di gestione del denaro.
La seconda: chiedersi quando inquina un’e-mail esprime un cambio di passo, verso un maggior rigore nell’approccio alla sostenibilità. La volontà di misurare concretamente gli effetti negativi dei comportamenti di singole aziende e consumatori sull’ambiente, la società, la comunità in cui questi operano e vivono. E quindi anche l’intenzione di quantificare l’impatto positivo che si può generare quando si decide di invertire la rotta.
“La misurabilità è un pilastro della finanza sostenibile, che trova la massima espressione nell’impact investing”, dice Trabattoni.
La nuova frontiera della sostenibilità
È un approccio all’investimento che mira a generare un impatto sociale o ambientale misurabile accanto al ritorno finanziario. In UBP siamo convinti che le imprese in grado di contribuire a risolvere le più impegnative sfide per l’ambiente e la società siano destinate a sperimentare una crescita più rapida, meno conflitti con i regolatori e una profittabilità maggiore.
Che differenza c’è rispetto alla finanza Esg, che integra analisi finanziaria e fattori ambientali, sociali e di governance? L’Esg si occupa dei processi produttivi e dell’organizzazione in azienda. L’impact investing, invece, guarda ai prodotti finiti e ai servizi delle imprese, chiedendosi in che misura possano generare un impatto positivo su ambiente e società, in particolare in riferimento a 17 obiettivi d’investimento sostenibile identificati dalle Nazioni Unite nel 2015 – dalla salvaguardia degli oceani all’uguaglianza di genere, dalla lotta al cambiamento climatico allo sviluppo di modelli di consumo e produzione sostenibili – che tutti i 193 Paesi membri si sono impegnati a raggiungere entro il 2030.
Quali sono le implicazioni dal punto di vista finanziario?
Il raggiungimento di questi obiettivi richiederebbe un investimento compreso tra 5mila e 7mila miliardi di dollari su base annuale, per la maggior parte da finanziare tramite il supporto di capitali privati.
Quanto vale oggi il mercato dell’impact investing a livello globale?
Si calcola un valore di circa 715 miliardi di dollari nel 2019, a fronte di una crescita del 33% su base annua, dal 2015, per la componente legata alle azioni quotate.
In che modo, concretamente, gli obiettivi delle Nazioni Unite si traducono in strategie d’investimento?
In collaborazione con Ilg, Investment leaders group, un network globale di investitori istituzionali, promosso dall’Università di Cambridge, riconducibile a oltre 14mila miliardi di masse in gestione o sotto consulenza, abbiamo declinato 15 obiettivi in sei temi d’investimento, tre ambientali stabilità climatica, comunità sostenibili, ecosistemi sani e tre di natura sociale economie inclusive e giuste, salute e benessere, bisogni di base: igiene, inclusione finanziaria, nutrizione, formazione, accesso all’acqua.
Non sarà sempre possibile calare gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu in decisioni d’investimento coerenti… Non sempre: il n°16, ad esempio, parla di pace e giustizia, della necessità di realizzare istituzioni responsabili e inclusive a tutti i livelli. In questo specifico ambito, esistono solo marginali opportunità in Borsa, quindi il tema viene affrontato tramite una donazione benefica ad alcune organizzazioni impegnate su questi fronti.
Scegliere aziende a impatto positivo: il metodo
Si parte dall’identificazione di un’idea, cioè di prodotti o servizi che rispondono, sulla carta, a uno o più obiettivi di sviluppo sostenibile. Poi si misura l’impatto, attraverso una metodologia proprietaria che chiamiamo Imap, acronimo che abbraccia quattro dimensioni: intenzionalità, materialità, addizionalità, potenzialità.
Cosa significa?
L’intenzionalità viene valutata esaminando la strategia dell’azienda e la quota di investimenti e di ricerca e sviluppo destinati alla soluzione in esame.
La “materialità” si calcola come percentuale di ricavi che derivano da aree di business capaci di generare un impatto positivo.
Il principio di addizionalità aiuta a verificare la leadership dell’impresa nel suo campo e l’unicità delle tecnologie o dell’approccio adottato. Infine si cerca di comprendere il potenziale che un certo prodotto o servizio possono esprimere come game changer: se, cioè, questi incorporano un aspetto talmente innovativo da cambiare le regole del gioco in un certo settore.
L’analisi di questi quattro fattori si esplica in un Impact score, un punteggio che esprime l’intensità dell’impatto esercitato su ambiente e/o società: solo le aziende con un punteggio superiore a una certa soglia entrano nell’universo investibile.
E l’analisi finanziaria tradizionale che fine fa?
A questo punto, intervengono l’analisi delle valutazioni e dei fondamentali, in tre dimensioni: crescita, profittabilità, qualità. Infine si passa all’engagement: il dialogo attivo e costruttivo con il management per incoraggiare un progresso continuo da parte dell’azienda sulla responsabilità sociale e ambientale.
Il risultato è un piccolo universo investibile di 100 azioni, circa 40 titoli vengono scelti per il portafoglio del nostro fondo Positive impact equity.
Facciamo qualche esempio di aziende a impatto positivo.
Hoffmann green cement technologies, azienda francese pioniera nella produzione di cemento a basso contenuto di carbonio.
Il suo prodotto riduce dell’80% le emissioni rispetto al cemento tradizionale.
Entro il 2024 si stima possa tagliare 381mila tonnellate di Co2, equivalenti alle emissioni su base annua di 83mila automobili. Negli ultimi due anni ha piantato 10mila alberi. Altri esempi sono la svedese Thule Group, che produce porta biciclette e altre attrezzature sportive, l’olandese Arcadis (consulenza e progettazione nell’ingegneria civile e ambientale).
E ancora, le americane Thermo Fisher (strumenti, materiali e software per l’industria farmaceutica e biotecnologica) ed Ecolab (servizi, tecnologia e sistemi per il trattamento dell’acqua e l’igiene), la norvegese Tomra Systems (soluzioni per il riciclo dei rifiuti, basati su sensori) e tante altre.
Come si misura l’impatto
Sì. Abbiamo calcolato che ogni milione di euro investito nel nostro fondo porta a minori emissioni di Co2 per 1.100 tonnellate, 68 prestiti a imprenditrici in condizioni di partenza svantaggiate, 210 litri d’acqua di scarico trattati e redistribuiti, 20 tonnellate di polvere d’acciaio riciclate, una borsa di studio del valore di 7.000 dollari a favore di studenti in difficoltà in America Latina, 303mila bottiglie e lattine riciclate, 500 nuove biciclette elettriche prodotte, accesso a servizi finanziari di base per 55 utenti in Kenya e farmaci all’avanguardia contro l’allergia per 20 pazienti.
Ci sono investimenti a impatto interessanti anche nel mondo emergente?
Assolutamente sì. Cito, tra tutti, Samsung Sdi, leader nella mobilità elettrica, Xinyi Solar, il più grosso produttore cinesi di pannelli solari, Bank Rakyat, pioniere nella microfinanza dell’Indonesia e uno dei maggiori operatori al mondo attivi nel microcredito.
Impatto e rendimento possono andare a braccetto?
Siamo convinti di sì. La strategia Positive impact equity, dal lancio (settembre 2018) ha guadagnato il 30,5%, cinque punti in più delle azioni globali. Il fondo specializzato sugli investimenti a impatto dei Paesi in via di sviluppo, lanciato un anno fa, ha reso 80 punti, quasi 30 in più dell’Msci emerging markets.
Tutte le decisioni vengono prese dai gestori in autonomia?
Abbiamo un processo d’investimento articolato, che vede portfolio manager e analisti supportati da un comitato d’investimento interno e un advisory board indipendente.
È fondamentale, inoltre, il lavoro svolto in una serie di gruppi specializzati sull’investimento sostenibile. Dall’Ilg di Cambridge a Giin, Global impact investing network, da The Big Exchange, la prima piattaforma Uk per l’investimento sostenibile a Fairr, una rete collaborativa di investitori il cui scopo è aumentare la consapevolezza su rischi causati dallo sfruttamento intensivo di bestiame.
Il percorso di UBP nella finanza sostenibile è iniziato da una decina di anni, con l’adesione ai Principi per l’investimento responsabile dell’Onu. Fin da allora abbiamo avuto ben chiara un’idea.
Quale?
Chi si occupa di gestioni di grandi patrimoni ha responsabilità che vanno oltre quelle dei singoli individui e aziende. Noi cerchiamo di fare la nostra parte.
Questo obiettivo è compatibile con le ragioni del business per un asset manager?
Lo è soprattutto oggi, perché la sensibilità degli investitori nei confronti degli investimenti sostenibili è sempre più accentuata e le nuove regole europee incoraggiano e impongono maggiore trasparenza.
Noi siamo fortunati, perché questa è una banca a conduzione familiare, nata nel 1969 a Ginevra. Il fatto di avere alle spalle una famiglia di imprenditori come azionista di riferimento, permette di fare scelte di lungo termine, senza l’ossessione per i risultati di breve.
Questo principio è alla base di ogni ragionamento sulla sostenibilità. Ed è lo stesso principio che un giorno porta a chiedersi quanto può inquinare persino una singola e-mail.