Il 2020 è stato un anno positivo per il mercato dei certificati di investimento, con oltre 25 miliardi di euro di volumi scambiati sui mercati italiani Sedex ed EuroTlx.
A determinate condizioni, i certificati permettono di ottenere un ritorno neutrale anche in fasi di ribasso dei mercati. Oppure ci sono strumenti che permettono di “scambiare” il rischio azionario con una cedola.
Leonteq è una boutique da 15 miliardi di euro gestiti a livello globale tramite certificati d’investimento.
“Dai banker riceviamo decine di richieste come questa: verifichiamo se nella nostra gamma – al momento comprende 750 prodotti listati – ne esiste uno con quelle caratteristiche e, in caso contrario, lo possiamo costruire ad hoc.
Siamo nelle condizioni di lanciare un nuovo certificato in meno di 10 minuti, grazie a una piattaforma tecnologica molto avanzata che presiede alla strutturazione dell’offerta. Per la quotazione sul Sedex il segmento di Borsa Italiana dedicato ai certificati d’investimento ci vogliono, poi, dai cinque ai sette giorni. A quel punto può entrare nei portafogli”.
Marco Occhetti guida la branch italiana di Leonteq, società svizzera specializzata nel segmento dei certificati d’investimento, nata nel 2008, con oltre 500 dipendenti a livello globale, quartier generale a Zurigo e presenza in 11 Paesi.
La branch italiana ha aperto i battenti a ottobre 2020, in leggero anticipo rispetto alla Brexit, che di lì a poco avrebbe impedito la prestazione di servizi finanziari nell’Ue da parte di società extra comunitarie. Da Londra, quindi, tutto il team italiano si è trasferito a Milano, dove gestisce un volume d’affari di circa un miliardo di euro.
Il mercato di riferimento
Il 2020 è stato un anno positivo per il mercato dei certificati di investimento, con oltre 25 miliardi di euro di volumi scambiati sui mercati italiani Sedex ed EuroTlx. Nel segmento degli investment certificate, ovvero quello che ci riguarda, ci sono tuttavia stati importanti cambiamenti.
La volatilità alle stelle di marzo, le turbolenze sui prezzi del petrolio e l’incertezza legata al covid-19 hanno infatti in parte mutato, nel corso del 2020, la propensione al rischio degli investitori, che attualmente operano in media con un approccio più conservativo nelle scelte d’investimento.
Il nostro lavoro, quindi, è attualmente indirizzato verso lo studio e l’emissione di soluzioni che sappiano rispondere al contesto di mercato nel quale ci troviamo: uno scenario che rende più che mai complesso prendere decisioni di allocazione di portafoglio capaci di generare adeguati rendimenti senza rinunciare a un certo livello di protezione.
A determinate condizioni, si può ottenere un ritorno neutrale anche in fasi di ribasso dei mercati, grazie alla barriera di protezione. Oppure ci sono i certificati che permettono di “scambiare” il rischio azionario con una cedola, in genere molto più generosa rispetto a quelle offerte oggi dal reddito fisso.
Non è un caso se in Italia hanno avuto particolare successo i certificati che “staccano” una cedola: offrono un flusso di reddito costante, su base trimestrale o mensile, eventualmente richiamabili prima della scadenza solo se il sottostante sale sopra una soglia predeterminata.
La fiscalità
Si, perché, a differenza di fondi comuni ed exchange traded fund, consentono di compensare minusvalenze pregresse. Ma la loro principale virtù è la flessibilità: infatti, si adattano a profili di rischio estremamente diversi, con rendimenti potenziali che oscillano dall’1% al 30%, in questo momento. Ovviamente non ci sono pasti gratis: all’aumentare del guadagno teorico, crescono i rischi, non si scappa.
L’innovazione nei certificati d’investimento
L’unica strada per crescere ed essere competitivi è fare innovazione sui prodotti e offrire un livello di servizio superiore.
Cosa significa fare innovazione?
Per rispondere alle rinnovate esigenze di investitori che richiedono sempre maggiore personalizzazione, riteniamo che lo sforzo di innovazione tecnologica debba essere indirizzato in due direzioni: automatizzazione dei processi e scalabilità dei sistemi.
Grazie agli investimenti da noi effettuati negli ultimi anni, possiamo considerarci all’avanguardia su entrambi i fronti: basti pensare che l’anno scorso, tra private placement e public offering, abbiamo emesso 32.225 prodotti a livello globale.
Per quanto riguarda la nostra offerta in Italia, ci siamo fin da subito messi in evidenza proponendo strumenti più conservativi: con barriere molto profonde, che quindi proteggono maggiormente l’investitore dal rischio di una caduta del sottostante.
Una scelta che ci ha premiato anche nel 2020 quando, a causa del crollo dei mercati, molti strumenti meno difensivi hanno dato risultati poco gratificanti: le barriere protettive sono state infrante, trasformando quei certificati, tipicamente, in prodotti a replica passiva di un mercato che, in quel momento, andava male, e poi ha recuperato.
Inoltre, abbiamo arricchito l’offerta di nuovi sottostanti: non solo titoli di aziende quotate a Piazza Affari, ma anche colossi svizzeri Nestlè, Novartis, Ubs, Credit Suisse, Julius Baer – grandi assicuratori europei, come Axa, Allianz, Aegon. E siamo stati tra i primi a costruire certificati con sottostanti americani, come i Faang, l’acronimo che abbraccia Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Googe (Alphabet).
Un modo per aumentare la diversificazione del portafoglio.
È molto importante non acquistare svariati prodotti con lo stesso sottostante, perché questo porterebbe ad una concentrazione del rischio su un singolo nome o indice. Inoltre, abbiamo scelto di approdare al mercato italiano con prodotti più sofisticati.
Nuovi sottostanti
Abbiamo privilegiato sottostanti multipli, cioè un paniere di titoli o indici, anziché singoli nomi. Da una parte, abbiamo aumentato il profilo di rischio dei prodotti, ma in compenso siamo riusciti a fornire livelli di protezione molto maggiori.
D’altra parte, la volatilità del sottostante si ripercuote sulle caratteristiche più o meno aggressive del certificato. Enel o Eni sono più difensivi rispetto ai titoli bancari o ciclici. Abbiamo anche riscoperto alcune tipologie di strumenti, come i certificati Airbag, molto più conservativi.
Come funzionano?
La protezione può essere data da una barriera americana, protezione fragile che può essere infranta in ogni momento durante la vita del certficato; da una barriera europea, che viene osservata solamente a scadenza, oppure dal meccanismo Airbag.
In caso di barriera europea al 50%, se a scadenza il sottostante ha una performance del -51% (quindi sotto la barriera) l’investitore riceverà solamente il 49% del capitale investito. In caso di Airbag al 50%, l’Investitore inizierà a perdere solo dal -50% con un fattore di moltiplicazione pari a 2. Quindi, nell’esempio considerato, l’investitore riceverà il 98% del capitale investito: sempre una perdita ma molto più marginale.
Quali altre novità avete introdotto sul mercato italiano?
Abbiamo riportato in auge i Twin-Win. Funzionano così: se a scadenza il sottostante è sopra la barriera, ma ha performance negativa, quest’ultima cambia di segno e diventa positiva.
Gli investitori
L’Italia è stata tra i pionieri in Europa a livello di sviluppo e distribuzione dei certificati.
Ci sono tanti consulenti finanziari e banker che li utilizzano, perché hanno bisogno di strumenti fiscalmente efficienti e con strategie innovative da inserire nei portafogli dei loro clienti.
Ovviamente si tratta di professionisti preparati, che studiano e si tengono aggiornati. Ogni prodotto è diverso e richiede quindi uno sforzo minimo di comprensione del pay-off, cioè la combinazione dei possibili risultati in base all’andamento del sottostante.
Per rendere più accessibile questo mercato, abbiamo lavorato e investito molto, sviluppando una piattaforma web user-friendly, con informazioni aggiornate e facilmente reperibili, che consentono di accedere con chiarezza alla descrizione del prodotto e monitorare costantemente l’andamento di ciascuno strumento.
Una piattaforma così semplice richiede un’infrastruttura molto complessa, alla base.
Anche i piccoli investitori riescono ad orientarsi facilmente?
Per agevolarli, abbiamo da pochissimo sviluppato dei portafogli costruiti con i certificati.
Vengono generati ogni mese in modo automatico attraverso un algoritmo, che analizza l’intera nostra offerta e individua la tre combinazioni di certificati in grado di offrire i migliori profili di rischio-rendimento, partendo da una serie di variabili.
Pensate che il software impiega 28 ore per trovare i tre panieri più efficienti costituiti da quattro certificati. Ogni mese cambiano, al mutare delle condizioni di mercato e della nostra offerta.
I costi sono elevati?
Noi abbiamo fatto la scelta di quotare direttamente tutti i nostri certificati sul mercato secondario. Questo permette di ridurre al minimo le commissioni.
In ogni caso, coltiviamo una relazione di scambio continua con i banker e i consulenti finanziari. Questo ci permette di adattare la nostra gamma prodotti all’evolvere delle condizioni di mercato e alle richieste dei clienti.
La nostra offerta è sartoriale. Ma grazie alla tecnologia, possiamo “fabbricare” nuovi prototipi in tempi record. Adatti a intercettare opportunità nascenti su mercati sempre più veloci.