Le domande che si devono porre sono moltissime, a partire da quelle che testino le competenze finanziarie e la disponibilità dell’investitore a sperimentare investimenti a elevato livello di rischio. Si tratta di un compito molto delicato, vista la scarsa preparazione degli italiani. Lo dicono i numeri. Quelli, per esempio della ricerca di Banca d’Italia sull’alfabetizzazione finanziaria degli italiani https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2020-0588/QEF_588_20.pdf. L’indagine è stata compiuta nel 2020 e precedentemente nel 2017: il livello medio di alfabetizzazione finanziaria degli italiani nel 2020 è 11,2, in una scala che va da 1 a 21, sostanzialmente in linea con il valore rilevato nel 2017. Ci sono alcune buone notizie: ovvero che la quota di soggetti che nel 2020 registra un punteggio di conoscenza giudicato sufficiente dall’OCSE – 5 o più su 7 – è pari al 44,3%, rispetto al 32,6% del 2017. Ma gli altri due parametri, ovvero comportamento e attitudine mostrano la strada che ancora c’è da fare. Se infatti la conoscenza migliora, la percentuale di rispondenti per la quale il punteggio sul comportamento (la gestione dei risparmi) è giudicato sufficiente è stabile rispetto alla scorsa indagine (27,3 contro 27%). Per quanto riguarda l’attitudine (la capacità di prevedere le esigenze di liquidità e risparmio nel lungo termine), invece, la quota di coloro che hanno un punteggio sufficiente è pari a 13,7%, in calo rispetto alla scorsa rilevazione (18,8%).
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Non basta avere le nozioni teoriche – piano sul quale, anche grazie alle iniziative governative di formazione, prima fra tutte il mese dell’educazione finanziaria, ogni ottobre promulgato da EduFin.
Ma questa parte è solo, appunto, una parte del lavoro di profilazione. Se un cliente sa cos’è un’obbligazione, conosce il significato dell’acronimo cfd, sa a cosa ci si riferisce quando si parla di volatilità e di alpha o beta, sono per il consulente informazioni sufficienti per definirlo un cliente con un elevato livello di rischio/rendimento? Per capire in definitiva chi è e orientare correttamente il portafoglio rispetto ai suoi bisogni?
Nella mia esperienza lavorativa oltre alla profilatura standard, ho sempre cercato di capire il comportamento dei miei clienti di fronte a situazioni estreme di mercato.
Negli ultimi anni, la diversificazione tradizionale dei portafogli non è bastata a stabilizzare i rendimenti.
Ogni cliente è unico soprattutto perché si comporta in modo diverso di fronte agli imprevisti.
Il coraggio di fare delle scelte nei momenti estremi di mercato è sempre più importante per stabilizzare gli investimenti. Ne abbiamo avuto una prova evidente nel giovedì nero del 2020, il 12 marzo, quando i mercati hanno registrato il peggior crollo della loro storia praticamente in tutto il mondo. Il coraggio di tenere i nervi saldi e non disinvestire (incassando una perdita certa) è ciò che ha salvato molti portafogli e molti sogni.
Come misurare questo “coraggio”?
A mio avviso non basta solo la profilatura Mifid, che resta un’importante base, su cui però è necessario costruire. Per farlo, ci vogliono sensibilità, esperienza e le domande giuste. Ed è anche la misura di questo “coraggio” a definire la propensione al rischio di ognuno di noi.