La nostra sanità sicuramente ha già sperimentato efficaci strategie per resistere meglio ad una ricaduta
Vedere gli esperti litigare, senza avere una linea comune, non è certamente indice di una competente tattica
(William Rounseville Alger – politico e scrittore – 1822 – 1905)
Qualcuno potrebbe pure pensare che il nostro sia diventato un paese con un popolo approssimativo. La colpa potrebbe ricadere sulla velocità con cui viaggiamo che confonde e procura dispersione e distorsione cognitiva.
Eppure il Covid-19 ad un certo punto ci ha offerto una serie di opportunità che avevano generato buoni propositi: avrebbe potuto farci rallentare e conseguentemente vivere usando diversamente la ragione al fine di controllare meglio le abitudini consolidate.
Invece il virus ci ha dapprima letteralmente paralizzato quando all’apice della diffusione della pandemia ci ha terrorizzato a tal punto e in maniera così repentina da farci scoprire – con un certo stupore – disciplinati.
Ora invece, ci ha illuso che sia scampato il pericolo, siamo perfino arrivati al nonsenso che fosse tutta una esagerazione ed è crescente la frangia che si è convinta (i cosiddetti “negazionisti”) che questa fosse una macchinazione politica per distrarre da altri problemi.
Nell’epoca della iper-informazione, si è inoltre sviluppato un corto-circuito pericoloso: è quel paradosso che innalza l’incoscienza in una pericolosa analfabetizzazione di chi s’illude di sapere, magari semplicemente dopo aver fatto una fugace e approssimativa ricerca sul web, elevandosi con presunzione a esperto del settore, con tanto di giudizi perentori e affermazioni convinte che sanno di sentenze.
Siamo improvvisamente planati nell’insana diffusione della figura di chi credendosi competente è con ottima probabilità più rischioso di colui che sa di non conoscere. In altre parole la presunzione è più deleteria dell’ignoranza.
È un fenomeno notevolmente presente nel nostro paese. Nonostante la proverbiale fantasia e l’estro che ci rendono estremamente sensibili verso l’originale creatività così da essere riconosciuti nel mondo per la nostra capacità di distinguerci nell’arte, nel turismo, nel “Made in Italy”, così come nella cultura e nella scienza, risultiamo palesemente avere la memoria più corta di tutti.
Rischiamo infatti di bruciare un prolungato sacrificio sviluppatosi durante tutto il lockdown, finendo col commettere un evitabile peccato, causato da una saccente tracotanza e da una inspiegabile leggerezza che ci ha fatto perdere lucidità e quel necessario controllo in una logica pianificazione efficace a lungo termine, che salvaguardi innanzitutto il futuro delle generazioni successive.
In queste condizioni, siamo passati da un’emozione all’altra che ci ha prima portato a vedere tutto nero e adesso improvvisamente a cancellare totalmente l’esperienza vissuta.
Tutto questo sembra incredibile, anche perché il bombardamento di notizie che sopraggiungono dal mondo ed in particolare dai paesi limitrofi, evidenziano un quadro epidemiologico decisamente attivo.
Siamo diventati, in un batter di ciglia, un popolo poco attento, dopo aver praticato – mossi dalla paura – un blocco quasi totale (avendo lasciato attivi solo i servizi essenziali).
Viviamo un effetto “elastico” (in opposizione al precedente) probabilmente così prevedibile da apparire naturale e giustificato.
E non è solo una esigenza di promuovere il bisogno di non congelare l’economia, ma di voler abbandonare, sottovalutando i pericoli, l’isolamento per favorire il ripristino di una attività sociale pre-pandemia.
Non sarebbe tutto perduto se fosse praticata una urgente scientifica educazione rivolta al controllo del rischio. Occorrono mirati interventi politici supportati da pareri qualificati e che siano il più possibile non contrastanti.
Vedere gli esperti litigare, senza avere una linea comune, non è certamente indice di una competente tattica. Per capire l’importanza di questo punto, dovremmo fare un piccolo passaggio indietro.
Quanto capitava a noi, all’inizio della pandemia, aveva indotto gli altri europei a pensare che fossimo i soliti esagerati e sempre con la propensione a trovare la scusa per non far nulla.
Ci siamo fatti la nomina di essere frivoli, instabili e sfaticati e quel che è peggio siamo diventati convinti di ciò perfino in diretta autonomia. Ora tutti i paesi attorno a noi, stanno vivendo un ritorno di fiamma che appare essere – a tutti gli effetti – una seconda ondata. Non possiamo non valutare la possibilità che anche per noi ci sia questa incognita.
Tant’è che la nostra società può ancora una volta distinguersi, dopo aver “insegnato” al mondo come contrastare la pandemia iniziale (il metodo italiano è oggi fortemente praticato), attraverso un meticoloso approccio rivolto al cambiamento delle abitudini sociali. Per far questo, ognuno di noi può e deve fare la propria parte.
E questo può e deve passare da un’analisi puntuale e meticolosa (senza alcuna improvvisazione) che ci consenta di fare una programmazione per rivedere certezze ed abitudini, consapevoli che nella globalizzazione abbiamo opportunità da cogliere, ma anche tante minacce da non minimizzare con superficialità.
Il pericolo di credere che l’inattività produca necessariamente un crollo dei consumi e il congelamento della libera circolazione in tutti gli ambiti possibili, privilegerebbe esclusivamente le logiche economiche speculative in barba all’importanza della salute pubblica.
La nostra sanità sicuramente ha già sperimentato efficaci strategie per resistere meglio ad una ricaduta, non è però detto che abbia ugualmente la forza per agire senza ulteriori gravi problemi.
Abbiamo certamente più esperienza e non necessitiamo di lavorare contro un nemico invisibile cercando di improvvisare metodi di contrasto in particolar modo in regime di stress per sovraffollamento.
Abbiamo vinto una battaglia, perché il “nemico” ha ritirato la propria forza d’urto, durante l’estate, con le temperature alte e per il fatto che si sta più tempo all’aria aperta.
La guerra è ancora in atto, è chiaro da quanto emerge dalla situazione mondiale. Non è il caso di creare allarmismi, ma neanche di sdrammatizzare non dando quell’importanza alla prevenzione e alla prudenza.
Non ci vuole solo coraggio. Ci vuole determinazione a veicolare gli investimenti pubblici per dare ossigeno in maniera mirata senza cercare consensi populisti. Le regole andranno spiegate con pazienza e bisognerà esercitarle con un rigore straordinario. Solo così la disciplina entrerà a regime e diventerà il propulsore del nuovo mondo economico e costituirà nuovi equilibri.