Da emergenza sanitaria a contingenza economica

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I propositi green che erano sulla bocca di tutti, ma fattivamente nessuno aveva compiuto alcun minimo sforzo per applicarli, adesso sembrano necessari tanto quanto gli investimenti nella ricerca

I grandi della terra si sono dovuti arrendere alla questione che il “dio danaro” non era poi così potente

La pandemia ha avuto da una parte una virulenza incredibile

Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo. 

(Albert Einstein – fisico tedesco naturalizzato svizzero e statunitense – Ulma, 14 marzo 1879 – Princeton, 18 aprile 1955)

 

Il Covid-19 ci ha sorpreso. Ed ha finito per dominare la paura. Ci ha resi insicuri ed estremamente fragili.

Ha bloccato la corsa di un mondo che probabilmente aveva pensato di andare ad una velocità folle.

Ha perfino cancellato tutto ciò che sembrava prioritario per dare repentinamente rilievo a qualcosa che piano piano stava per passare sempre di più in secondo piano: la sanità.

E difatti all’unisono i grandi della terra si sono dovuti arrendere alla questione che il “dio danaro” non era poi così potente e così preminentemente essenziale.

Di colpo il mondo ha girato a vuoto. E l’ecosistema ha avuto un sussulto. Si è ridotto in maniera significativa l’inquinamento.

Lo hanno rivelato i satelliti. Alcuni animali hanno occupato spazi che l’uomo pareva non aver concesso.

I propositi green che erano sulla bocca di tutti, ma fattivamente nessuno aveva compiuto alcun minimo sforzo per applicarli, adesso sembrano necessari tanto quanto gli investimenti nella ricerca in particolar modo focalizzata sul miglioramento significativo del livello di salute e di benessere.

Ci si è accorti, dinanzi al crescere dell’intensità della pandemia, che si era impreparati dinanzi ad un attacco (siamo in un contesto assimilabile ad un conflitto mondiale) così repentino proprio perché inaspettato ed imprevedibile.

Eppure c’era già chi aveva parlato di questa ipotesi. Cominciò nel lontano 2005, rivolgendosi agli americani al National Institute of Health (NIH), l’allora  presidente  George Bush junior: “I leader di ogni livello del governo hanno la responsabilità di affrontare i pericoli prima che appaiano e coinvolgere il popolo americano nel miglior modo di agire. […] In questo momento non c’è alcuna pandemia nel nostro paese o nel mondo, ma se aspettiamo che appaia sarà troppo tardi per prepararci e un giorno molte vite potrebbero essere inutilmente perse perché non siamo riusciti ad agire oggi”. (ad onor del vero, il tema è stato estrapolato da un contesto decisamente più ampio e che aveva un altro obiettivo).

Poi fu la volta di Barack Obama il 2 dicembre 2014 sempre al NIH che affermò “Dovremmo prepararci a una epidemia globale che si diffonde per via aerea”, e poco dopo di Bill Gates, (Ted Talk, marzo 2015), che disse: “Ciò che nei prossimi decenni ucciderà oltre 10 milioni di persone sarà molto probabilmente un virus altamente contagioso piuttosto che una guerra. […] E non siamo pronti per la prossima epidemia”.

La sequenza fa impressione. Appare come una profezia favorita dalla globalizzazione e dagli interscambi planetari. Come è noto, si arriva dall’altra parte del globo in una sola giornata.

La pandemia ha avuto da una parte una virulenza incredibile, fin tanto che non si siano prese le giuste contromisure in tema di contenimento attraverso delle banalissime ed opportune azioni: dal distanziamento sociale, passando prima da un efficace quanto coraggioso lockdown, fino all’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI).

È chiaro che la prudenza non sarà mai troppa e ricercare una improvvisa accelerazione per provare a riprendersi tempo ed energie perdute dovrà essere adoperata con l’opportuna cautela.

Non occorrerà ripartire per fare ciò che si faceva prima. È chiaro a tutti che si sono installate delle trasformazioni che impatteranno sulle abitudini e sugli usi prossimi.

La battaglia finale di questa guerra non sarà certamente un armistizio col virus (magari scoprendo un vaccino efficace), ma sarà quella che – come direbbero gli informatici – ci porterà da una fase chiamiamola 2.0 ad una 4.0, con un salto a piè pari di una versione intermedia.

Vedremo delle trasformazioni nella produzione, nei servizi, nell’industria e nel commercio. I trasporti vivranno una nuova vita, la tecnologia sarà sempre più preponderante, le scelte vincenti dovranno guardare il clima e l’ambiente.

È un mondo che sta facendo grandi cambiamenti e le migrazioni non sono solo una questione legata alla sopravvivenza per mancanza di cibo e lavoro e/o alla volontà di fuggire da una guerra civile.

È in corso una rivoluzione che peraltro sta purtroppo anche passando dalla pesante rinascita di spiriti nazionalistici e da questioni xenofobe.

Neanche la violenza e neppure una temperatura (degli animi) sempre più calda, stempererà però questo fenomeno. Sono evidenti delle mutazioni che sviluppano desertificazione e scioglimento dei ghiacciai.

Si parla di oceani invasi dalla plastica. E questo virus ha aperto un capitolo: ricchezza significa sfruttamento, inquinamento, debolezza dei sistemi e fragilità delle strutture.

Allora i fondi che si è già pensati di stanziare dovranno necessariamente cambiare destinazione.

La priorità è indispensabile che si dia al rafforzamento dei sistemi sanitari pubblici, con una conseguente riduzione delle disuguaglianze.

Non sarà più l’economia spregiudicata ad avere un ruolo primario, ma la centralità della persona all’interno di sistemi sanitari caratterizzati da universalità dell’assistenza, che passi attraverso l’equità, la qualità eccelsa e la sostenibilità.

Proviamo immediatamente a riavvolgere il nastro e ci accorgiamo che il nostro sistema sanitario, tanto vituperato, tanto contestato e perfino tanto calpestato da pesanti tagli perpetrati nel tempo, già racchiude queste caratteristiche.

Noi abbiamo praticamente un sistema a cui gli altri hanno pensato di puntare. Siamo, nonostante le magagne (quindi con ampi margini di crescita), già indirizzati perché “dedicati” ad una più equa distribuzione del servizio sanitario finale centralizzato per lo più in un sistema statale solidale.

Abbiamo già sviluppato la forza della complessa struttura che dalla solidarietà “gratuita” e dall’esperienza diretta (in particolare per gli ospiti stranieri del nostro paese), si accresce e si sviluppa senza sosta.

Noi spendiamo complessivamente somme rilevanti tolte dalla contabilità pubblica, ma “usiamo” gli studi e le ricerche sperimentali per avere una efficienza nell’evoluzione della sanità che permette una invidiabile migliore qualità della vita che nel complesso diventa sempre più lunga.

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