In futuro saranno richieste alle società quotate politiche di bilancio più sobrie con drastica riduzione del ricorso al buyback
Il private equity interviene molto dopo le fasi di startup e avvio inziale dell’azienda
C’erano una volta ma sembrano non esserci più.
La liquidità messa a disposizione dalle banche centrali di tutto il mondo, con la nobile finalità di sostenere la crescita, ha finito per nutrire attività speculative profittevoli dal punto di vista privato ma improduttive dal punto di vista sociale.
E così le grandi aziende quotate (soprattutto quelle americane), piuttosto che investire in progetti di espansione e creare ricchezza e occupazione, hanno utilizzato quella stessa liquidità per acquistare azioni proprie (buyback) con il solo intento di aumentarne il prezzo e remunerare gli azionisti.
E’ lecito aspettarsi che in un prossimo futuro questi eccessi saranno opportunamente disciplinati dai regolatori: voglio pensare che il prodigioso sostegno stanziato da banche e governi di tutto il mondo per superare l’attuale crisi, non sarà gratuito.
In futuro saranno richieste alle società quotate politiche di bilancio più sobrie con drastica riduzione del ricorso al buyback.
Nell’attesa che questa condizione si verifichi, già oggi l’investitore che voglia ottenere margini di profitto interessanti, creando una ricaduta virtuosa anche sul tessuto economico sociale, ha la possibilità di indirizzare parte dei propri capitali nell’investimento in economia reale.
Scegliere, quindi, di destinare i propri risparmi per sostenere direttamente le imprese che costituiscono il tessuto produttivo del nostro paese senza il passaggio obbligato dai mercati finanziari.
Come funziona l’investimento in economia reale? Semplicemente si tratta di diventare soci finanziatori di aziende non quotate che hanno come obiettivo lo sviluppo del proprio business, attraverso prodotti di investimento specifici.
Si permette, così, al risparmiatore di diventare finanziatore di piccole e medie imprese partecipando agli utili e allo sviluppo di quest’ultime.
Tecnicamente stiamo parlando di “Private Equity” che, storicamente, presenta soglie di ingresso inaccessibili all’investitore individuale (250.000/500.000 €).
Grazie alla recente evoluzione delle normative finanziarie e all’innovazione perseguita dal risparmio gestito, questa forma di investimento è diventata praticabile all’investitore italiano anche con piccole somme (ho approfondito come funziona in questo post https://davidvolpe.it/private-equity-investire-nelleconomia-reale-tutti-i-motivi-per-farlo/).
Con il termine Private Equity si indicano società specializzate che raccolgono delle somme di capitale dai risparmiatori per poi destinarlo a imprese e attività produttive attentamente selezionate.
Il punto di forza dei fondi di Private Equity è quello di non limitarsi a finanziare l’azienda ma di seguirla nel quotidiano per alcuni anni, contribuendo attivamente all’attività manageriale.
L’obiettivo dei fondi è di collaborare allo sviluppo della stessa per poi rivendere la propria partecipazione con una plusvalenza alla proprietà dell’azienda stessa, attraverso la quotazione in borsa o tramite l’unione con altre società dello stesso settore.
Ci tengo a fare un ultimo distinguo: vorrei specificare che il private equity interviene molto dopo le fasi di startup e avvio inziale dell’azienda. Vengono selezionate solo attività imprenditoriali già avvitate e stabili, come potete vedere qui di seguito.
Ovviamente il private equity, come tutti gli strumenti finanziari, non può essere l’unica destinazione del proprio capitale, ma deve essere opportunamente inserito all’interno di un portafoglio ben bilanciato e differenziato. (https://davidvolpe.it/la-diversificazione-come-proteggere-il-proprio-patrimonio/)