Questo terremoto finanziario delle borse ci aveva sicuramente dato delle avvisaglie ma forse non le abbiamo volute accettare
Sembra che ognuno di noi viva dentro a un film, tipo The Truman Show, dove il regista sia però stavolta Steven Spielberg
Rischiamo seriamente il collasso del sistema imprenditoriale e, se così fosse, il contagio sarebbe devastante. Siamo in un tempo in cui la politica, più dell’economia, del progresso e della scienza, può riscrivere la nostra storia.
Senza però dare quel necessario rilievo. Pensavamo fosse distante da noi e che rimanesse ingabbiato a Wuhan, una popolosa città sub-provinciale della Cina. Poi è stato un rincorrersi di notizie, di bollettini, errori, decisioni prese e ripensamenti.
Ed infine il lock down è stata una scelta sofferta e necessaria. Il Governo si è così prodigato in un triage politico, in quanto la situazione di emergenza richiedeva un trattamento tempestivo e immediato.
A posteriori, possiamo dire che questo terremoto finanziario delle borse ci aveva sicuramente dato delle avvisaglie ma forse non le abbiamo volute accettare.
Come se la nostra mente rifiutasse un segnale preciso. Poi ha anche preso il sopravvento quell’emotività irrazionale collettiva e gli effetti sono diventati ancora peggio.
Ora tutti hanno ben compreso che questo “fermo” ha innescato delle pericolosissime mine in un terreno che era già fragilissimo.
Il Governo ha paura più di noi. Perché oltre all’emergenza economica e alla (in)stabilità prossima, nel frattempo (non dimentichiamolo) sta affrontando una difficilissima emergenza sanitaria senza precedenti che sta mettendo a soqquadro energie e risorse.
Sono state presi tanti provvedimenti. Si può discutere quanti siano stati tempestivi. Quanti siano stati efficaci.
Certamente una cosa del genere non si era mai vissuta e non si era mai pensata fosse possibile.
Sembra che ognuno di noi viva dentro a un film, tipo The Truman Show, dove il regista sia però stavolta Steven Spielberg ed, nonostante abbia fatto successo con diversi titoli fantascientifici e con qualche ricorso ad improbabili catastrofi, è avvenuto che la realtà abbia di gran lunga superato la fantasia.
Pensare alla “fase 2” significherà mettere principalmente in sicurezza la popolazione (che sarà inizialmente assai guardinga), evitando il più possibile che un secondo focolaio possa far ripiombare la vita sociale e immediatamente dopo fare di tutto per ridare fiato all’economia reale.
Non bastano le azioni di congelamento sia dei tributi che delle rate dei finanziamenti. Non occorrerà più fare proclami inneggianti il consenso.
Bisogna avere il coraggio di andare oltre il confine di una logica normalità. Solo così, con audacia e con spirito di imprenditoriale iniziativa, si può incoraggiare un sistema che ha – nella fragilità ancora più compromessa – un tallone d’Achille senza nessuna analogia col passato.
Eppure la storia dice che questi eventi così nefasti o così fortemente depressivi, in realtà favoriscono la cultura del fare e la promozione di nuove iniziative che, come prevedono i principi cardine di una economia nobile, si dovrebbe fondare sulla ricerca del benessere collettivo e conseguentemente per favorire un progresso.
I decreti “Io resto a casa” e “Chiudi Italia” hanno costituito un’azione formidabile che ha paralizzato ogni possibile reazione pericolosissima.
Si sono sviluppati dei meccanismi istantanei, dove la vita di relazione ha subito un congelamento.
Le apocalittiche visioni delle città deserte si sono contrastate con l’esigenza di non spegnere totalmente il motore, attraverso le attività agro-alimentari (con tutte le filiere), oltre a quelle ospedaliere, che hanno protetto e reso vivo ancora il nostro Paese.
Ora bisogna già immaginare il domani. Con un sostegno alle città in ginocchio. Innescando quei meccanismi che producano fondi di mutuo soccorso.
Con la voglia di cominciare nuovamente pensando, non che tutto sarà diverso, non ai problemi apparentemente irrisolvibili, non alle trasformazioni di questa società (che ha scoperto lo smart working) e non alle difficoltà sociali ed economiche.
Ecco perché si può fare ricorso alla nostra capacità di sopravvivenza, alle nostre riconosciute competenze e alla proverbiale abilità di inventare una soluzione in particolar modo nella più complicata difficoltà del dopoguerra.
Il nemico invincibile e oscuro, invisibile e accanitosi contro la generazione degli anziani che stava dando un prezioso sostegno ad una gioventù sbandata e disorientata, ha portato immagini di morte come fosse una guerra.
I convogli militari che portavano via le salme, nelle città del Nord più colpite, ci hanno proiettato così emotivamente, che quasi non ci hanno impressionato le chiese chiuse e i funerali vietati.
E allora i giorni vissuti che valgono anni, ci hanno fatto entrare velocemente in una dimensione così futurista, che soltanto l’unità nazionale veicolata da una nuova politica può renderci refrattari alla depressione e spingere sull’acceleratore affinché le nostre filiere interconnesse possano fornire una nuova forza in questa nazione, che non è stata depredata dagli altri paesi e che non ha subito quel torto di cui abbiamo creduto di essere stati vittime.
Abbiamo semmai provveduto ad auto-alimentare questo processo involutivo, quasi che fosse più comodo cullarsi nei nostri difetti, che abbiamo esaltato, facendo in modo che il nostro riconosciuto “Made in Italy” non avesse quel valore immenso che ci viene attribuito.
Siamo sembrati più deboli, abbiamo dimostrato evidenti segni di fragilità, eppure la lucidità e la rapidità di azione, in tempi di buio assoluto della ragione (quasi volessimo parafrasare Leopardi nello Zibaldone) avranno degli effetti miracolosi. Abbiamo recentemente corso a vuoto.
Ci eravamo adagiati ed avevamo perso posizioni. Improvvisamente accade l’imponderabile: entra la safety-car. Si sono annullate le distanze in un attimo. Possiamo ripartire e giocare la gara. Non più disperati, ma con grande speranza.