Digital service tax (Dst): i servizi ai quali si applica
Digital service tax (Dst): i servizi ai quali si applica
Da includersi nell’area delle imposte indirette, la Digital service tax (Dst) non si applica a tutti i servizi. Ecco i servizi ai quali si applica e quelli che sono esclusi
È di pochi giorni fa il via libero definitivo alla Digital service tax (d’ora in poi, Dst). Costituita dalle previsioni introdotte con la legge di bilancio 2019, di fatto mai applicate (per la mancanza di un decreto di emanazione governativa), è ora operativa dal 1° gennaio, con le modifiche e integrazioni apportate dalla Legge di bilancio 2020.
La tassa è verosimilmente da includere nell’area delle imposte indirette e pertanto è da ritenersi esclusa dalle convenzioni contro le doppie imposizioni (in parole povere, le imprese estere non ne sono esentate); la stessa inciderà per il 3% sui ricavi lordi (al netto dell’Iva e di altre eventuali imposte indirette) derivanti da specifici servizi digitali forniti in Italia dalle imprese che, nell’anno solare 2019, hanno conseguito – individualmente, o a livello di gruppo – un fatturato globale di almeno 750 milioni di euro (non necessariamente nell’ambito dei soli servizi digitali) ed un fatturato in Italia – relativamente ai soli servizi oggetto della tassazione in parola – di almeno 5 milioni e mezzo di euro.
Va peraltro segnalato che la Dst non si applica ai servizi digitali (tassabili ma) resi all’interno di uno stesso gruppo.
I servizi in questione sono rappresentati:
– dalla pubblicità mirata agli utenti online (ad esempio, la pubblicità su Google),
– dalla messa a disposizione di un’interfaccia digitale multiutente (ad esempio, le vendite su ebay)
– dalla trasmissione (tipicamente a fronte di una vendita) di dati degli utenti generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale (ad esempio, i dati raccolti dai servizi di musica in streaming).
Sono invece espressamente esclusi, tra l’altro, servizi in varia misura correlati a quelli appena evidenziati, ma non coincidenti, quali, ad esempio, la fornitura di beni e servizi a valere su piattaforme digitali (si pensi, ad esempio, alle merci cedute da Amazon), oppure la fornitura di beni e servizi svolta direttamente dalla piattaforma digitale del produttore (si pensi, ad esempio, a tutte le vendite online di beni di lusso gestite direttamente dalle case produttrici, anche se affidate “in service” a terze parti).
L’imposta si applica sui ricavi annuali da riportare in un’apposita dichiarazione fiscale, da presentare entro il 31 marzo successivo alla chiusura dell’anno solare e dev’essere versata (in unica soluzione) entro il 16 febbraio dello stesso anno in cui si dichiara (le prime scadenze saranno quindi nel 2021 a valere sul 2020).
Sonni tranquilli per tutto il 2020?
Purtroppo, non è così: occorre istituire una contabilità specifica sin dal primo gennaio scorso, e le sanzioni non sono banali (per intenderci, sono le stesse applicabili ai fini dell’Iva).

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