Disoccupazione e default: vincitori e vinti del Covid

Se è ormai chiaro come sarà l’Oriente a uscire vincitore dalla crisi Covid, le differenze sugli effetti a lungo termine delle risposte alla pandemia cominciano a vedersi anche tra Stati Uniti ed Europa. A rivelare le possibili conseguenze, soprattutto due dati: disoccupazione e tasso di default

Mentre l’Occidente affronta la seconda ondata di contagi da Covid-19, l’Oriente incalza verso la crescita: “è come se la pandemia avesse agito da catalizzatore di una deriva economica dei continenti, creano o esacerbando le distanze in termini di crescita e sviluppo”, ha evidenziato Donatella Principe, Head of Product and Market Strategy di Fidelity International per l’Europa nel corso del webinar “Quanto ti senti tranquillo con i tuoi investimenti?”.

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Cina a parte (che assieme all’Asia si rivela la vera vincitrice uscente dalla crisi Covid, complici trend in atto da tempo come digitalizzazione e innovazione), in Occidente Usa ed Europa tendono verso due direzioni opposte. La discriminante? La diversa interpretazione della crisi e le differenti reazioni che ne conseguono. A rivelarlo sono soprattutto i dati del mercato del lavoro e default.

Accettare o congelare? Strategie a confronto

A distanza di quasi un anno dall’inizio della pandemia, e di alcuni mesi dalle misure messe in campo da governi e banche centrali, le differenti risposte date alla crisi sanitaria ed economica cominciano a rivelare la loro efficacia (ed efficienza).
In questo contesto appare chiaro come la diversa interpretazione della crisi sia stata un fattore decisivo. “In alcuni paesi, la crisi Covid è stata vista come un game-changer: questa idea porta con sé un processo di distruzione creativa che rende l’economia pronta per il nuovo mondo”, ha proseguito l’esperta di Fidelity. L’altra interpretazione? “In altri casi, la crisi Covid è stata letta come un episodio temporaneo: la gestione della crisi è coincisa con un congelamento dell’economia e la focalizzazione degli sforzi si è indirizzata nel transitare l’economia dal pre al post lockdown, cercando di preservare lo status quo”.

Mercato del lavoro e disoccupazione: Europa e Usa a confronto

Distruzione creativa o congelamento? La differenza è chiara se si guarda alla disoccupazione negli Usa e in Europa. “Negli Stati Uniti, i numeri parlano di una rivoluzione epocale. Nei mesi iniziali della pandemia, la disoccupazione ha toccato un massimo storico, anche considerando la Grande Depressione del 1929: 14,7%. In poche settimane si sono bruciati più di 23 milioni di posti di lavoro creati nei dieci anni di uscita dalla Grande Recessione 2008/2009”, ha aggiunto Principe. “In Europa, a guardare il dato sulla disoccupazione, sembra quasi che quest’anno non vi sia stata la più grave crisi economica della storia moderna”.

Negli Stati Uniti sono stati infatti quasi inesistenti gli schemi visti in Europa in quanto a congelamento del mercato del lavoro, come lo stop ai licenziamenti. Al contrario, la soluzione prescelta è stata quella di un supporto al reddito, come il sussidio settimanale di disoccupazione che è quasi triplicato grazie al Cares Act del 27 marzo 2020, arrivando fino a 600 dollari nelle settimane di maggior incidenza della crisi. Il rischio per i paesi in cui si è scelto il modello di congelamento potrebbe essere quello di una possibile ‘bolla’ dei licenziamenti. Per evitarlo, non appena lo stop sarà revocato, le soluzioni a cuscinetto per i lavoratori che perderanno il proprio posto di lavoro dovranno essere flessibili e tempestive per un corretto reinserimento e ridistribuzione della forza lavoro.

Mercato del lavoro e default: l’esempio della Francia

Disoccupazione a parte, anche il dato sui fallimenti aiuta a comprendere le dinamiche di congelamento del mercato del lavoro che, se forzato, non ha modo di correggersi e adattarsi da sé alla crisi in atto. “Oltre ad aver protetto la metà della sua forza lavoro dal licenziamento, la Francia ha modificato la legge sui fallimenti per tenere artificialmente in vita le aziende”. Il risultato? Una contrazione del Pil doppia rispetto al 2008/2009, ma il 40% dei fallimenti in meno rispetto ad allora. “Addirittura, dopo che negli ultimi tre trimestri il Pil francese è sceso quasi del 10%, da inizio anno i fallimenti si sono ridotti del 25%”.
Queste scelte potrebbero tuttavia avere delle conseguenze importanti sul lungo termine. “Se l’Europa ha sbagliato la sua lettura della crisi, sta creando un esercito di zombie companies che rischiano di minare a lungo la produttività e l’efficienza del suo sistema economico”, ha concluso Principe.

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