Il risparmio gestito rincorre l’equilibrio di genere

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Tra gestori di portafogli, analisti e membri di comitati d’investimento, i progressi verso la parità appaiono lenti. Se le figure decisionali al femminile sfioravano il 12% a fine 2019, a distanza di tre anni ammontano al 13,7%. Ma secondo Luca De Biasi, partner di Mercer Italia, c’è un dato che lascia ben sperare

Al primo dicembre 2022 le figure decisionali ammontavano a 21.452 a livello globale; la quota al femminile era pari al 13,7%

De Biasi: “Siamo fautori di team diversificati perché è meno probabile siano soggetti al groupthink, che taglia le discussioni critiche e crea un pensiero unilaterale”

Nel 2019, stando ai dati raccolti in un report dal titolo Diversity dressing: the hidden figures, condotto all’epoca da Mercer, si contavano a livello globale complessivamente 20.040 “key decision maker” (o decisori chiave, ovvero gestori di portafoglio, analisti e membri di comitati d’investimento coinvolti in modo significativo nel processo decisionale e responsabili delle performance di portafoglio) nell’industria del risparmio gestito. Di questi, il 12% erano donne. A distanza di tre anni, al primo dicembre 2022, le figure decisionali ammontano a 21.452 secondo una nuova rilevazione della società di consulenza; la quota al femminile è salita al 13,7%, per una crescita annua di appena lo 0,6%. Che diventa negativa, sebbene in misura contenuta, se si guarda solo a quello che accade in Italia. 

L’analisi geografica mostra infatti come nei 30 paesi analizzati (Taiwan, Malesia, Cina, Hong Kong, Singapore, Corea del Sud, India, Spagna, Francia, Lussemburgo, Belgio, Irlanda, Olanda, Italia, Svizzera, Austria, Canada, Stati Uniti, Finlandia, Svezia, Danimarca, Norvegia, Sud Africa, Brasile, Emirati Arabi Uniti, Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Gran Bretagna) la percentuale di figure decisionali al femminile sia aumentata in 22 casi ma diminuita in sette, tra cui proprio l’Italia. Se il Belpaese annoverava al 2019 il 20,3% di donne key decision maker, come mostrano i dati estrapolati da Mercer per We Wealth, nel 2022 se ne calcola solo il 17,2%. 

Ma secondo Luca De Biasi, partner, wealth lead di Mercer Italia, c’è un aspetto cui occorre prestare attenzione per analizzare il percorso dell’industria verso un possibile equilibrio di genere. “Se osserviamo l’evoluzione sulle coorti che vanno dai 25 ai 30 anni di permanenza in azienda, a livello globale, resta una predominanza maschile. Ma sulle coorti più basse, dai 25 anni in giù, si evidenzia come la piramide si stia progressivamente aggiustando”, spiega De Biasi. Come si evince dall’ultimo studio infatti, tra i key decision maker di lunga data (con oltre 25 anni di esperienza) le donne ammontano al 10%, un dato in linea con quanto stimato nel 2019. Nella coorte tra 0 e 5 anni di esperienza, la quota al femminile sale al 32%, in crescita di 13 punti percentuali rispetto a tre anni prima. Un aumento incoraggiante, si legge nel rapporto, sebbene non si sia ancora in grado di stabilire se sia stato innescato da cambiamenti nei processi di assunzione o a migliori pratiche di “employee retention” (termine con il quale si indica la capacità di un’azienda di gestire e conservare i propri dipendenti, ndr) a seguito di congedi parentali o comunque di interruzioni di carriera. Tra l’altro, si tratta anche di una quota superiore al 30%, il livello al quale – secondo la teoria della massa critica – molti commentatori ritengono che una minoranza diventi un corpo in grado di influenzare il cambiamento, ricordano i ricercatori. 

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“Il vero dato da segnalare è questo”, interviene De Biasi. “Ipotizzare che oggi possa esserci una parità di genere nelle posizioni apicali del risparmio gestito potrebbe essere utopico, perché non c’era una parità di genere neppure quando i team sono stati creati, 30 o 40 anni fa. Il fatto che però si registri un maggior equilibrio tra chi è in azienda da 10 o 15 anni è indice di una buona evoluzione. Perché sono donne che stanno già ricoprendo e ricopriranno sempre di più posizioni di leadership nel tempo”. Un’evoluzione, continua De Biasi, che tra l’altro va a vantaggio dell’industria nel suo complesso. “Le donne in posizioni apicali, quando sono ben rappresentate in un team diversificato, portano con sé una diversa sensibilità. E lo stesso vale quando si parla di diversity in senso più ampio, quindi non solo di genere ma anche cognitiva, di geografia e di razza. Noi siamo fautori di team diversificati perché è meno probabile che siano soggetti al groupthink (pensiero di gruppo, ndr), che in un team di gestione è qualcosa di particolarmente rognoso perché si tagliano le discussioni critiche e si crea un pensiero unilaterale”.

(Articolo tratto dal magazine We Wealth di maggio 2023)

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