Perché scegliere i certificati: una guida per iniziare

Le caratteristiche dei certificati somigliano per certi versi a quelle dei bond, per altri a quelle delle azioni. Nonostante la loro complessità, i certificati sono fra le opzioni di investimento più apprezzate in Italia. Vediamo il perché con UniCredit

I certificati sono fra le opzioni di investimento più apprezzate in Italia, nonostante le loro complessità. Nel 2021 le sole emissioni primarie di certificati sono state pari a 9,5 miliardi di euro, secondo i dati Acepi.

Le caratteristiche dei certificati somigliano per certi versi a quelle dei bond, per altri a quelle delle azioni. In comune con i primi, per alcune categorie come i Cash Collect, ci sono il pagamento di premi periodici simili alle cedole; il fatto che prevedano una scadenza che dà luogo al rimborso condizionato del capitale investito (più dettagli su questo in seguito); infine, il fatto che vi sia un emittente dalla cui solvibilità dipende il rispetto dei termini del contratto. I livelli di rischiosità e di rendimento, invece, somigliano più a quelli delle azioni: i premi in gioco sono più elevati rispetto a quelli offerti, in media, dai bond e il rischio di non rientrare in possesso di tutto il capitale investito inizialmente è più concreto rispetto a quello di un ipotetico default su titoli di debito.

Perché scegliere un certificato, dunque, e non limitarsi a una classica ripartizione fra asset class obbligazionaria e azionaria? In sintesi, perché si vuole agire un po’ a metà strada, esponendosi indirettamente a determinati sottostanti, ma limitandone la volatilità entro certi limiti. Proveremo a spiegare un passo alla volta come funzionano i principali meccanismi prendendo ad esempio alcune delle ultime emissioni di certificati eseguite da UniCredit, di cui avevamo parlato a fine aprile.

L’aspetto comune a tutti i certificati è che, a determinarne le sorti, è l’andamento di uno o più sottostanti – che possono essere azioni, materie prime o altre classi di attività. I certificati, infatti, appartengono alla famiglia finanziaria dei derivati, contratti il cui valore deriva dall’andamento di prezzo di qualcos’altro. In questo articolo introduttivo ci concentreremo solo sui certificati con sottostanti azionari.

Entriamo, ora, nel vivo. Lo scorso aprile UniCredit ha lanciato 16 certificati “Fixed Cash Collect Worst Of”: come decifrare diciture come questa? “Fixed cash collect”, sta a significare che i premi (in questo caso mensili) saranno pagati senza condizioni e sono, pertanto, fissi. Non tutti i certificati pagano premi in ogni condizione di mercato: talora, in casi di forti ribassi dei sottostanti, il premio salta (secondo le condizioni previste nel contratto). “Worst of”, invece, si riferisce alla caratteristica determinante per le sorti del rimborso del capitale: a deciderle sarà il prezzo di Borsa che, trascorsi i due anni di durata del contratto, avrà raggiunto il titolo azionario meno performante (“il peggiore”) nel paniere di titoli che costituiscono il sottostante del certificato. Prendiamo, ad esempio, il certificato che UniCredit ha creato per gli investitori convinti delle potenzialità di crescita del settore automobilistico. Al suo interno troviamo quattro società: due tradizionali, Ford e Stellantis, due più innovative e, per questo, più ‘ballerine’ in Borsa, Tesla e Nio. In questo caso, il premio annuo offerto ammonta al 21%, suddiviso in premi mensili dell’1,75%. Al termine del contratto (due anni dopo l’emissione, aprile 2024) il rimborso del capitale investito inizialmente, come detto, sarà deciso dall’andamento del titolo meno performante dei quattro, con due possibili esiti. È a questo punto che entra in gioco la “barriera”, la soglia entro la quale l’emittente si impegna a proteggere l’investitore da eventuali ribassi dei sottostanti. Nel caso specifico la barriera è stata posta al 60%. Che cosa può succedere, dunque, alla scadenza del contratto?

  1. Scenario positivo: nessuno dei quattro titoli del paniere, a scadenza, aprile 2024, ha ceduto oltre il 40% del suo valore di due anni prima, quando il contratto era stato emesso. In quel caso, l’investitore avrà incassato i premi concordati e rientrerà in possesso di tutto il capitale iniziale. Aver scelto un certificato avrà offerto, dunque, i migliori vantaggi nel caso in cui, pur in presenza di un mercato negativo, nessuno dei sottostanti avrà violato la barriera.
  2. Scenario negativo: almeno uno dei quattro titoli sottostanti ha perso oltre il 40% del suo valore iniziale alla scadenza di aprile 2024. In tal caso non viene corrisposto l’ultimo premio, ma solamente un valore commisurato alla performance del titolo peggiore. Supponiamo di aver investito 100 euro e che il titolo Tesla, a scadenza del certificato, abbia perso il 50% del valore.A quel punto l’investitore non riceverà i 100 euro di capitale, ma 50 (i premi incassati fino a quel momento, ovviamente, vanno inclusi nel calcolo finale, per capire il rendimento complessivo dell’investimento).
  3. Per evitare di complicare troppo presto il discorso abbiamo presentato un caso particolare di certificato. Le possibilità, però, sono molto numerose e diverse fra loro. Vale la pena citare i cerfificati a barriera continua che, a differenza di quelli presentati in precedenza, prevedono il rimborso del capitale integrale – e del bonus se parliamo di prodotti della tipologia Bonus cap  – solo se il sottostante si mantiene al di sopra di essa per tutta la durata del contratto. Questo, ovviamente, li rende molto più rischiosi

    L’importanza dei sottostanti

    Giunti a questo punto è facile comprendere come la scelta dei sottostanti sia determinante per farsi un’idea di quanto violare la barriera possa essere più o meno probabile. Più le società del paniere sono volatili, più l’emittente tenderà offrire premi elevati per compensare l’investitore del maggiore rischio che ha deciso di correre.

    In altre parole, non tutti i certificati sono rischiosi nella stessa misura. Per questo è opportuno andare oltre le sole considerazioni sul premio e sulla barriera per soffermarsi, invece, su quali società siano sottostanti al certificato, quante siano e quale sia il proprio personale appetito per il rischio. Non a caso un altro certificato emesso ad aprile da UniCredit, che comprendeva i titoli Intesa Sanpaolo, Banco Bpm e Leonardo prevede un premio annualizzato di quasi la metà rispetto a quello automotive presentato in precedenza, pur avendo una barriera più alta, al 70%. La ragione di questa minore remunerazione ci sembra duplice: da un lato, il fatto che si tratti di tre società e non di quattro, fatto che riduce matematicamente l’eventualità che una di esse “buchi” la barriera, dall’altro l’assenza nel paniere di titoli le cui valutazioni siano molto “tirate” in rapporto agli utili realizzati, come Tesla o Nio. Un’azione “costosa” potrebbe essere maggiormente esposta a potenziali ribassi in un contesto di tassi d’interesse crescenti. Per la cronaca, il rapporto fra prezzo azionario e utili di Tesla è pari a 118, quello di Leonardo è di circa 9. Queste considerazioni possono essere un esempio di come approcciarsi per distinguere un certificato più aggressivo da uno più tranquillo.

    È interessante a questo punto domandarsi cosa distingua l’investimento in certificato da un investimento diretto nei suoi sottostanti, poniamo ancora una volta che si tratti di Tesla, Nio, Stellantis e Ford.

    Una prima differenza affonda le radici nel diritto. Se investiamo in un certificato, non siamo azionisti delle società sottostanti (pertanto non verranno percepiti dividendi, non godremo di diritti di voto) ma abbiamo stretto un rapporto con l’emittente del certificato, in questo caso UniCredit. Pertanto, meglio aver cura di acquistare certificati da emittenti finanziariamente solidi – per orientarsi, i voti assegnati dalle agenzie di rating possono essere d’aiuto.

    L’orizzonte temporale. Un po’ come accade per i bond, il certificato ha una scadenza, il titolo azionario no. Pertanto se l’intenzione fosse quella di fare i “cassettisti”, ossia tenere le azioni anni ed anni per incassare dividendi e puntare sull’apprezzamento di lungo periodo potrebbe essere preferibile il possesso diretto dei titoli. Se invece si è alla ricerca di un rendimento concentrato in un periodo più ristretto, il certificato rappresenta una soluzione più adatta.

    La liquidazione anticipata. Le condizioni per liberarsi di una o più azioni sono note: che si può vendere in ogni momento, a prezzi di mercato. Anche i certificati, dal momento che si tratta di titoli quotati in Borsa, possono essere venduti sul mercato secondario anche prima della scadenza. In alcuni casi, però, il contratto prevede la possibilità di rimborso anticipato a determinate condizioni; ad esempio i “Maxi Cash Collect Worst of” emessi ad aprile da UniCredit consentono di rientrare in possesso dell’investimento più il premio qualora, trascorsi almeno sei mesi dall’emissione, l’azione sottostante con la performance peggiore abbia raggiunto un valore superiore a quello a quello iniziale.

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