Il rallentamento dell’economia è probabile, la stagflazione no

Secondo il capo economista di T. Rowe Price le banche centrali hanno i mezzi per rimediare alle cause dell’inflazione – e la volontà di usarli

L’inflazione è tornata su livelli che non si vedevano da anni, riportando alla mente degli investitori vecchi fantasmi. Uno di questi risponde al nome di stagflazione e arriva direttamente dagli anni Settanta. È questo il destino verso il quale l’economia globale sta andando incontro, ovvero inflazione elevata unita a stagnazione economica? Secondo il capo economista internazionale di T. Rowe Price, Nikolaj Schmidt, questo scenario è improbabile perché le banche centrali di oggi, molto più indipendenti dal potere politico, hanno in mano gli strumenti per frenare buona parte delle cause dell’inflazione attuale e sembrano determinate ad usarli. Questa, però, non sarà una cura senza effetti collaterali, poiché riportare l’inflazione vicina ai livelli considerati ottimali (il 2% per quanto riguarda gli Usa e l’Eurozona), comporterà un rallentamento della crescita. Su quest’ultimo punto la visione di Schmidt coincide con quella dei suoi colleghi più pessimisti. Ma l’idea che, in aggiunta a ciò, alzare i tassi potrebbe rivelarsi insufficiente a ridurre l’inflazione non è una tesi in grado di convincere il capo economista di T. Rowe Price.

Questa visione deriva da quelle che, secondo Schmidt, sono le principali cause scatenanti dell’attuale fiammata inflattiva. Solo una di esse, l’aumento dei costi riconducibile ai colli di bottiglia sull’offerta prodotti dal covid e dalla guerra in Ucraina è l’unico su cui le banche centrali non hanno controllo. Del resto, su questo punto si è espressa molte volte la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, per giustificare l’atteggiamento più attendista dell’Eurotower. In una battuta, alzare i tassi non renderà il petrolio o il gas meno cari. Per il capo economista di T. Rowe Price, però, sulle altre due cause dell’inflazione il rialzo dei tassi dovrebbe rivelarsi efficace.

In primo luogo, ad aver contribuito alla ripresa dell’inflazione già prima del covid sarebbe stata la fine del “deleveraging”, che era seguito alla Crisi Finanziaria e al suo eccesso di credito. La stagione della riduzione della leva finanziaria, ha spiegato l’economista, può essere semplificata come un periodo durante il quale le banche, alle prese con regolamentazioni più stringenti, hanno erogato meno credito; questo fenomeno porta alla riduzione della domanda e produce un ambiente meno inflattivo. Già prima del covid quel modello stava cambiando, ha scritto Schmidt, ponendo le premesse per aumenti dei prezzi più sostenuti.
La seconda causa dell’inflazione attuale deriva dalla capacità di spesa aumentata grazie alle politiche di deficit pubblico particolarmente generose della fase pandemica. Lo stimolo, fiscale e monetario, “è stato troppo grande perché l’economia globale potesse assorbirlo”: l’offerta di prodotti non ha potuto tenere il passo con la nuova domanda venutasi a creare e lo squilibrio si è manifestato sotto la forma di aumenti dei prezzi. “Fortunatamente, la gestione ciclica della domanda è un’altra delle cose per le quali le banche centrali sono ben attrezzate: se stringi la politica monetaria la domanda scende”, ha affermato l’economista.

L’aumento della leva finanziaria e l’eccesso di domanda prodotto dagli stimoli sono entrambi fattori che i tassi possono riequilibrare. E se questo allontanerà il campo dallo scenario stagflattivo temuto da alcuni, Schmidt ha ammesso che non sarà comunque un processo indolore. “Per i partecipanti ai mercati finanziari, la cattiva notizia è che per riportare l’inflazione sotto controllo, le banche centrali dovranno stringere la politica monetaria fino al punto in cui la crescita rallenta al potenziale e, date le nostre condizioni iniziali, probabilmente un po’ al di sotto di tale livello”, ha concluso il capo economista di T. Rowe Price, “quando la crescita rallenta bruscamente, in particolare quando è accompagnata da un aumento dei tassi d’interesse, di solito ne consegue la volatilità dei mercati finanziari”.

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