Quanto ha reso comprare quando dominava la paura sui mercati

I ritorni dell’S&P 500, nei 18 mesi successivi a un Vix superiore a 30, sono stati circa doppi rispetto allo scenario opposto, afferma T. Rowe Price

Quando i mercati iniziano a scendere e minacciano di prendere una rotta decisa verso Sud, la tentazione di alleggerire la componente azionaria del portafoglio, quella a maggior rischio, può farsi particolarmente forte. Determinare a priori se questa sia una buona idea o meno è particolarmente difficile, anche perché parte del responso dipende da quanto ci si possa permettere o meno una grossa perdita a breve termine. In linea generale, però, chi può permettersi di restare serenamente in attesa del recupero degli indici viene ripagato. 

E’ quanto hanno fatto notare gli analisti di T. Rowe Price, Nathan Young e Thomas Polluaouec, andando a osservare cosa sia successo, storicamente, nei mesi successivi a un picco nella volatilità. Per quanto le perfomance del passato non siano indicative del futuro (il monito è d’obbligo) in un orizzonte di 18 mesi, i ritorni dell’S&P 500 si sono rivelati nettamente superiori allorquando fossero stati preceduti da un picco nella “paura” degli investitori. Più nel dettaglio, Young e Polluaouec hanno osservato, in un periodo compreso fra il 1990 e il 22 febbraio 2022, le performance dell’S&P 500 in due distinti scenari: nel primo l’indice Vix, un indicatore di quanto gli investitori si attendano ribassi sulla Borsa Usa nell’arco del mese successivo, si trovava al di sotto di quota 30 punti nel momento iniziale dell’osservazione; nel secondo caso, lo scenario in cui lo stress degli operatori di mercato è maggiore, il Vix si trovava oltre tale soglia. Quanto emerge sembra confermare come, in media, un picco di volatilità tenda ad essere seguito da performance superiori. Infatti, i ritorni dell’S&P 500, nello scenario in cui il Vix era nel punto di osservazione iniziale al di sopra di quota 30 punti, risultano circa doppi rispetto all’altro scenario al termine dei 18 mesi successivi. Inoltre, la probabilità di registrare una performance cumulata positiva in un periodo di 12 mesi risultava superiore al 90% quando il punto di partenza del Vix era oltre quota 30, mentre la percentuale si avvicina all’80% nello scenario iniziale meno teso.

 

Questa osservazione sembra giustificare un atteggiamento più paziente di fronte alla volatilità, o un audace approccio di acquisto nei momenti di maggior tensione. “La nostra analisi ha suggerito che i picchi di volatilità non costituiscono un buon segnale per vendere”, hanno affermato i due autori, “i rendimenti tendono a essere superiori alla media nei 18 mesi successivi a un picco di volatilità, poiché i mercati tendono naturalmente a rimbalzare, dopo essere stati ipervenduti durante la correzione”.

Lo spunto operativo di T. Rowe Price è, dunque, il seguente: “Gli investitori devono rimanere disciplinati e non vendere in preda al panico in prossimità di un bottom di mercato; quelli che lo fanno spesso riescono solo a bloccare le perdite”. Il market timing, ossia la pratica nella quale si cerca di comprare e vendere interpretando con tempestività la situazione del momento “è sempre difficile, ancor più in periodi di forte stress e turbolenza”, dal momento che “un investitore che vende e si sposta in liquidità potrebbe rientrare sul mercato in ritardo”.
Al contrario, “i periodi di maggiore volatilità possono potenzialmente fornire agli investitori buoni punti di ingresso a più lungo termine, riassunti nella frase ‘Siate avidi quando gli altri hanno paura'”, hanno affermato gli analisti di T. Rowe Price. 

La tensione geopolitica, un indicatore meno utile 

L’analisi della “paura” indicata dal Vix, dunque, si è rivelata in passato un buon segnale anticipatore sulla successiva ripresa del mercato. Molto meno, invece, l’indice sulla tensione geopolitica elaborato dalla Federal Reserve, messo alla prova da Young e Polluaouec nella stessa analisi. 

L’indicatore Federal Reserve Board Geopolitical Risk Index, che dipende dai risultati di una ricerca testuale automatizzata negli archivi elettronici di 10 quotidiani, a partire dal 1985, dopo che ha raggiunto un picco, non evidenza particolari recuperi da parte del mercato azionario Usa nei 18 mesi successivi. “Abbiamo scelto i 140 punti come soglia per suddividere lo storico in quanto rappresenta il 90° percentile”, come nell’analisi precedente relativa al Vix, “tuttavia, ripetendo l’analisi non abbiamo trovato prove storiche del fatto che un aumento dei rischi geopolitici possa portare a forti rendimenti a termine”, hanno affermato gli esperti di T. Rowe Price.

 

 

“Riteniamo che il motivo per cui i periodi di maggiore rischio geopolitico non rappresentano di norma dei buoni punti di ingresso per gli investitori sia che pochi di noi hanno conoscenze privilegiate sulla durata e sulla gravità degli sviluppi geopolitici”, hanno concluso Young e Polluaouec, “per cui potrebbe non essere saggio utilizzare un indicatore del rischio geopolitico come segnale di market timing”.

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