La mano invisibile di Adam Smith è scomparsa

Regioni e governi sempre più responsabili in ambito socio economico. L’artefice? L’economia da coronavirus. La domanda ora è: i mercati saranno ancora in grado di riequilibrarsi in autonomia?

La crisi da coronavirus ha spinto regioni e governi a responsabilizzarsi. A differenza che in passato, politiche monetarie accomodanti ed espansione dei bilanci centrali si sono affiancate a stimoli fiscali senza precedenti e all’espansione dei deficit pubblici. Condizioni che “diventeranno la nuova normalità del domani” hanno commentato gli esperti di  T. Rowe Price, Yoram Lustig, Responsabile delle Soluzioni Multi-Asset, Emea, e Michael Walsh, Solutions Strategist.

Governi e banche: nessun’altra scelta

“In quasi tutte le economie sviluppate, imprese e consumatori continueranno a beneficiare di tassi di interesse ai minimi storici” hanno proseguito gli esperti. “L’allentamento monetario, se necessario, proseguirà, senza lasciare ai governi altra scelta che indebitarsi per poter spendere”.
“La mano invisibile di Adam Smith”  hanno quindi aggiunto “è scomparsa”, lasciando posto all’interventismo di banche centrali e governi.

La mano invisibile di Adam Smith

La metafora della mano invisibile venne utilizzata per la prima volta nel 1776 dall’economista e filosofo scozzese nella sua opera magna “La Ricchezza delle Nazioni”. L’espressione era atta a rappresentare il ruolo centrale della provvidenza, per mezzo della quale, all’interno del libero mercato, la ricerca egoistica del proprio interesse da parte degli attori economici tende a favorire non solo se stessi, ma anche l’interesse intero della comunità, ovvero del sistema economico.
La mano invisibile di Smith portava quindi a quello che l’economista stesso definiva risultato non intenzionale: gli individui determinano il cosiddetto equilibrio economico generale (che contempla ordine sociale e sviluppo economico) nonostante non agiscano con lo scopo di generarlo. L’uomo, in tale fase, non era inteso come homo oeconomicus razionale e individualista, ma come mero attore che risponde ai propri interessi.
Rispetto all’economia monetaria, asseriva infine Smith a metà del ‘700, “nessun Governo fece mai opera più inutile di quando pretese di soprintendere alla conservazione o all’accrescimento della quantità di denaro esistente”, convinto della capacità del sistema di autoregolarsi. Dopo anni di crisi e nuovi capitoli di economia monetaria, tale sentenza pare oggi molto lontana.

Un 2021 ancora in mano alla liquidità

Se si guarda ai prossimi mesi, il rallentamento economico, assieme alle politiche estremamente accomodanti varate nel 2020, tenderanno a mantenere i rendimenti obbligazionari “su livelli molto bassi. Certo” hanno aggiunto, “potrebbero anche risalire dai minimi del 2020, ma è improbabile che crescano in modo significativo, poiché si prevede che sia l’economia, sia l’inflazione, continueranno a essere deboli”.
Parallelamente, “i persistenti programmi di acquisto delle banche centrali contribuiranno a mantenere bassi i rendimenti” specie a fronte del fatto che, negli ultimi dieci anni, “combattere la Fed si è rivelato un gioco da perdenti”.
Come rilevato inoltre negli ultimi anni, quando i rendimenti dei titoli obbligazionari iniziano ad aumentare, gli investitori istituzionali (in primis, i fondi pensione) “si affretteranno ad acquistare titoli di Stato a prezzi più convenienti, esercitando una nuova pressione al ribasso sui rendimenti”.

Le sorti dei rendimenti nel 2021

In conclusione, “nel 2021 rendimenti e reddito resteranno carenti”. Per trovare un po’ di rendimento sarà quindi opportuno, a detta degli esperti, spostarsi su asset a maggior rischio, “che dovrebbero continuare a ricevere sostegno da parte delle banche centrali”.
Alcuni segmenti di mercato, come quello delle obbligazioni l’high yield, “godono del sostegno esplicito delle banche centrali”; altri, come il debito emergente, “possono beneficiare della recente debolezza del dollaro americano, che prevediamo possa diventare il trend futuro nel medio termine”. Nonostante le asset class più rischiose siano più soggette al rischio di default, “la politica dovrebbe supportare le imprese, tenendo così a bada i tassi e lo spread”.

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