Deleveraging cinese: un’arma a doppio taglio, in Cina e non solo

La politica di deleveraging è tornata tra le priorità del governo cinese e le implicazioni per i mercati finanziari potrebbero essere significative. Ne parliamo con l’esperto di T. Rowe Price

La politica di deleveraging attuata in Cina avrà un impatto significativo non solo sull’economia cinese, ma anche sui mercati finanziari e sulle economie emergenti. Dopo l’interruzione causata dalla pandemia la riduzione del livello di indebitamento è tornata ad essere un punto chiave della strategia economica del paese. “Il deleveraging implica un periodo di crescita più lenta, maggiori surplus esterni e deficit più bassi”, spiega Chris Kushlis, Chief of China and emerging markets macro strategy di T. Rowe Price. “Dato che la Cina ha rappresentato fino a un terzo della crescita globale di recente, ciò implicherà un notevole freno alla crescita globale”.

L’aumento della leva finanziaria in Cina

Tra le più grandi sfide che la politica cinese deve affrontare c’è l’aumento del rapporto debito/Prodotto interno lordo (Pil), che è cresciuto vertiginosamente durante l’ultimo decennio. In particolare, l’accelerazione è avvenuta dopo il 2008, a seguito del massiccio stimolo fiscale introdotto in risposta alla crisi finanziaria globale. Secondo i dati della Bank of international settlements (Bis), nel 2009 il sistema bancario ha più che raddoppiato i nuovi prestiti all’economia rispetto all’anno precedente. Da allora il rapporto debito/Pil ha continuato a crescere fino al 2015, arrivando a superare quello globale già a fine 2014. Si è poi stabilizzato nel periodo compreso tra il 2016/2017 e il 2019, grazie alla campagna di deleveraging del presidente Xi Jinping.

La risposta della politica alla pandemia

Nel 2020, questo sforzo di riduzione del debito è stato interrotto a causa del Covid-19, che ha costretto il governo all’adozione di misure eccezionali. “A dicembre 2020, la misura aggregata della leva finanziaria era salita al 285%”, ricorda l’esperto. “C’è stato anche un cambiamento nella composizione del debito: la leva finanziaria delle imprese si è stabilizzata su un livello elevato. Al contrario, il debito delle famiglie e del governo rispetto al Pil ha continuato a crescere”.
Nel 2021 il deleveraging è perciò tornato al centro dell’attenzione. Per quanto riguarda il settore finanziario, l’obiettivo chiave della campagna di deleveraging potrebbe essere, secondo gli esperti, quello di tornare a un settore bancario più semplice e meglio capitalizzato. “Abbiamo visto un aumento del ritmo di cessioni e cancellazioni di prestiti in sofferenza (npl), un irrigidimento dei criteri per qualificare gli npl e un aumento delle riserve”. Nella sua indagine annuale su oltre 4.000 banche e istituzioni finanziarie non bancarie, la People’s Bank of China ha classificato il 2-10% delle istituzioni per asset/dati ad alto rischio.
A pesare sulle preoccupazioni c’è anche il settore immobiliare (motore importante dello sviluppo economico della Cina negli ultimi 20 anni), a seguito dei problemi finanziari del colosso Evergrande e di un limitato numero di altri operatori, altamente indebitati. “La salute finanziaria del settore immobiliare è oggi strettamente legata a quella del settore finanziario, che ha un’esposizione sull’immobiliare attorno al 40%”.

Le conseguenze sui mercati

Per i mercati emergenti, il deleveraging della Cina potrebbe significare meno opportunità di crescita. Man mano che la Cina diventa un Paese più ricco e benestante potrebbe passare a importazioni più sofisticate e a più alto valore aggiunto dalle economie sviluppate. “Le economie dei mercati emergenti hanno un margine limitato per aumentare la loro quota di esportazioni verso la Cina, ad eccezione di alcuni prodotti a basso valore aggiunto o alcuni articoli specializzati ad alto valore, come le esportazioni tecnologiche sudcoreane o taiwanesi”, spiega Kushlis. Secondo l’esperto, questo sta già ampliando il segmento a basso valore aggiunto e la parte inferiore dei segmenti a medio valore aggiunto per altri mercati emergenti, in particolare i mercati di frontiera. “Tuttavia, nessuno può offrire il pacchetto completo di bassi salari, efficienza delle infrastrutture e un contesto commerciale favorevole della Cina, il che significa che è improbabile che ci sia un unico vincitore in questo processo”, spiega l’esperto. È quindi possibile che i mercati emergenti debbano sviluppare nuove fonti di crescita (come il turismo, che potrebbe espandersi rapidamente, ad esempio).

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