Azionario: ecco cosa guardare per capire dove investire
Ci siamo finalmente lasciati alle spalle il peggio? I venti contrari che hanno soffiato forte nel 2022, dall’impennata dell’inflaziona alla stretta aggressiva delle banche centrali, non si sono completamente placati e l’incertezza continua a mettere a dura prova i nervi degli investitori. “Ci aspettiamo che la volatilità continui – spiegano gli esperti di T. Rowe Price – ma vediamo sempre più segnali che i venti contrari cominceranno a dissiparsi nel corso dell’anno”.
Inflazione ha toccato il picco, da dove ripartire
L’inflazione nella seconda meta del 2022 ha raggiunto picchi che non si vedevano da quasi quarant’anni: basti pensare che solo in Italia a novembre era arrivata all’11,8%, un dato paragonabile solo al 1984, secondo i dati Istat e negli Stati Uniti a luglio aveva superato la soglia del 9%. Proprio per questo le banche centrali si sono viste costrette a implementare una serie di rialzi dei tassi d’interesse tra i più consistenti della storia. D’altro canto i dati più recenti sull’inflazione sembrano mostrare segni di indebolimento (l’inflazione nell’Eurozona è passata dal 9,2% di dicembre all’8,5% a febbraio e anche negli Stati Uniti si sta abbassando, attestandosi a gennaio al 6,4%), questo potrebbe portare la Federal Reserve e le altre banche centrali a iniziare a rallentare e poi sospendere il ciclo di rialzi, anche se è ancora prematuro immaginare quando effettivamente ci sarà la fine dalla stretta monetaria.
Laurence Taylor, portfolio specialist di T. Rowe Price, sembra giustificare l’ottimismo per la decrescita dell’inflazione, rimanendo però ancora cauta. Infatti, se da un lato i problemi legati alle catene di approvvigionamento si stanno risanando più velocemente del previsto, anche grazie alla riapertura della Cina, dall’altro la domanda è in calo e la disoccupazione continua ad aumentare. Inoltre è importante sottolineare che i prezzi delle materie prime continuano a indebolirsi, ma si tratta di “fattori che richiedono tempo per alimentare forze neutrali e poi potenzialmente disinflazionistiche, ma prevediamo che entro l’estate saremo a questo punto”, spiega l’esperto.
Growth versus Value: dove trovare equilibrio
Storicamente alti tassi d’interesse hanno un impatto negativo per i titoli growth e il 2022 non ha rappresentato un’eccezione. Questo genere di azioni ha, infatti, registrato una sostanziale sottoperformance rispetto ai titoli value e difensivi.
Al momento le valutazioni dei titoli difensivi sono quelle più elevate, infatti, il settore energetico è ben presidiato e per questo le azioni difensive hanno oggi un margine di apprezzamento più basso. Inoltre, “sebbene esista ancora un premio evidente nei segmenti growth, tale premio si è notevolmente ridotto rispetto ai titoli value”, spiega Taylor. Dovrebbe ormai essere chiaro che il focus degli investitori si è spostato sul ribasso degli utili in tutto il mercato, indipendentemente che i titoli di interesse siano value o growth, e, proprio per questo, le società in grado di mantenere invariati i loro rendimenti diventeranno sempre più importanti agli occhi degli azionisti.
Nonostante il 2023 sia partito meglio dello scorso anno, il rischio di bassa crescita, se non addirittura di recessione, è onnipresente. In un panorama simile, potrebbe essere il momento giusto per il mercato di mettere nuovamente in luce gli utili, vedendoli come motore dei rendimenti azionari.
Azionario, quali segmenti da guardare?
Il mercato non offre sfere di cristallo, quindi è impossibile prevedere con certezza cosa accadrà nei prossimi mesi, possiamo unicamente basarci su quello che sappiamo ora: i tassi d’interesse sono indubbiamente molto più alti di com’erano solo un anno fa, ma sembra che l’inflazione abbia già raggiunto il suo picco. Tuttavia “nel 2023 c’è il rischio di una riduzione degli utili, poiché i margini sono messi sotto pressione dall’inflazione e dalla bassa crescita”, continua l’esperto.
Quindi a cosa devono guardare gli investitori? È fondamentale trovare segmenti di mercato in cui non solo gli utili riescono a tenere salda la loro posizione, ma anche a migliorare. “Un rapporto prezzo/utili inferiore alla media a 3, 5 e 10 anni è un punto di partenza relativamente solido quando si pensa ai rendimenti corretti per il rischio” conclude Taylor.
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