Internazionalizzazione: una scelta vincente per le imprese

I processi di internazionalizzazione consentono di cogliere le opportunità dei mercati esteri, ma comportano dei rischi specifici che vanno individuati e gestiti. Come? Ne parliamo con gli esperti di Strategica Group

Export e investimenti cross border consentono alle aziende italiane di crescere e assumere dimensioni internazionali, ma opportunità e rischi sono due facce della stessa medaglia: per cogliere le prime, occorre individuare e gestire i secondi. Sebbene circa 6 aziende esportatrici su 10 considerino il risk management un elemento centrale delle proprie strategie, solo 1 su 5 si è dotata di coperture assicurative specifiche per i rischi legati all’internazionalizzazione. A rivelarlo è un’indagine dell’Associazione nazionale risk manager e responsabili assicurazioni aziendali (Anra), presentata nel corso del webinar Internazionalizzazione delle imprese: strategie, rischi e programmi assicurativi organizzato da Strategica Group.

Internazionalizzazione delle imprese: cos’è…

L’internazionalizzazione può essere definita come l’insieme dei processi mediante i quali un’impresa si attiva per cogliere nuove opportunità di crescita sui mercati esteri: con ciò s’intendono non solo le esportazioni di beni e servizi, ma anche gli investimenti materiali e immateriali in aree geografiche target o con aziende estere, sotto forma di operazioni di M&A (acquisizione e fusione aziendale) o con l’apertura di nuovi impianti o uffici in paesi terzi. “L’internazionalizzazione è oggigiorno una scelta cruciale per le aziende italiane che” spiega Enrico Guarnerio, Ceo & Founder di Strategica Group “se vogliono crescere devono aprirsi agli altri Paesi. Come riporta l’Ice (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) le aziende internazionalizzate sono più resilienti alle crisi, registrano minori cali di fatturato, sono più reattive ai cambiamenti e più rapide nella trasformazione digitale”. È una scelta premiante però solo se gestita con consapevolezza: per questa ragione, nella pianificazione delle operazioni occorre dedicare estrema attenzione e adeguate risorse ai processi di individuazione e gestione dei rischi specifici di queste attività.

…e quanto vale in Italia

Le rilevazioni della XXXV Edizione del Rapporto sul Commercio Estero “L’Italia nell’economia internazionale” dell’Ice confermano quanto detto: nel 2020, nonostante il rallentamento dovuto alla pandemia, l’export ha rappresentato il 29,5% del Pil del nostro Paese, per un valore pari a 509 miliardi di euro. Nello stesso anno, gli Ide (investimenti diretti all’estero) italiani hanno superato i 478 miliardi, mentre quelli esteri in Italia sono stati di circa 382 miliardi di euro. Considerando le partecipazioni italiane all’estero ed estere in Italia, l’internazionalizzazione coinvolge oggi oltre 26.000 realtà del nostro Paese e più di 2,8 milioni di lavoratori.
“Questi dati” prosegue Guarnerio “confermano l’importanza del fattore dell’internazionalizzazione per l’economia dell’Italia e il suo peso crescente. Una trasformazione che sta cambiando non solo il profilo economico e di business delle aziende, ma anche il loro profilo di rischio. Nessuna impresa che si affaccia ad altri mercati può permettersi di non avere una strategia di gestione del rischio strutturata all’interno della propria governance: la pandemia ha dimostrato che cambiamenti di scenario repentini e significativi, se non previsti, possono costituire una minaccia per l’esistenza stessa dell’azienda”.

Due facce della stessa medaglia: cogliere le opportunità…

“Le ragioni che spingono un’impresa alla scelta di internazionalizzare possono essere molteplici. La diversificazione geografica consente di ovviare alla scarsa crescita o ad altre problematiche del mercato interno e di ridurre la volatilità dei risultati grazie alla simultanea presenza su più mercati, per la minore dipendenza da uno solo”, spiega Paola Radaelli, Senior risk management consultant di Strategica Group. Alla luce di ciò, se per le piccole e medie imprese italiane “l’internazionalizzazione è una scelta percorsa in ragione dell’ambizione ad una crescita maggiore e più stabile”, per le grandi aziende è invece quasi una scelta obbligata: per loro la domanda non è più ‘se’, ma ‘come’ e ‘dove’ internazionalizzare.” In tal senso, precisa Radaelli, “non esiste un’unica strategia di internazionalizzazione. Dipende dalle caratteristiche dell’azienda, del prodotto o servizio, del Paese target. Si può scegliere di concentrarsi sui mercati che presentano una crescita maggiore (oggi sono 11 gli Stati con una crescita del Pil > 10%) o su quelli di maggiori dimensioni, sui Paesi con un reddito pro capite più alto, su mercati di prossimità, o ancora su mercati di nicchia, come fanno tante aziende italiane del comparto Made-in-Italy”.

conoscendo i rischi

L’internazionalizzazione offre quindi numerose opportunità, ma implica specifici rischi: “Si va dai rischi geopolitici – violenza, terrorismo, instabilità – ai rischi legati alle differenze normative e culturali, dai rischi di contraffazione a quelli di corruzione, dai rischi di cambio a quelli legati alle catastrofi naturali, solo per citarne alcuni” spiega Radaelli. Per le aziende risulta perciò cruciale individuarli, conoscerli e, al fine di mitigarli, essere pronte ad adattare i propri processi di risk management e scegliere le giuste soluzioni assicurative.
Nonostante i rischi siano numerosi ed eterogenei per natura, esistono degli indicatori che possono supportarne l’analisi “Come la banca dati della World Bank, che realizza indagini sulla percezione di aziende, authorities e privati rispetto alla certezza del diritto o a fenomeni di terrorismo e corruzione. Oppure, per quanto attiene i rischi naturali, come catastrofi e eventi legati al cambiamento climatico, il Bundnis Entwicklung Hilft e Ruhr Universitat Bochum  e il Germanwatch analizzano i  dati relativi agli eventi catastrofali occorsi negli ultimi 20 anni. O, ancora, le mappe relative al rischio credito di alcune compagnie globali specializzate. Sono dati che ovviamente vanno rielaborati con il supporto di un esperto in analisi del rischio”.
“In sintesi, quando un’impresa decide di internazionalizzarsi deve tenere conto, in primo luogo, che opererà in un contesto differente rispetto a quello di origine. Le specifiche dinamiche e caratteristiche del nuovo mercato devono essere studiate e comprese prima di agire, e – altrettanto importante – continuamente monitorate, perché nessun contesto è immutabile”.

Trasferire i rischi: non esiste una soluzione standard

“Le imprese hanno bisogno di accedere ad un know-how specifico per la gestione dei rischi legati all’internazionalizzazione e per il corretto trasferimento degli stessi ai mercati assicurativiinterviene Marco Accinelli, Account executive multinational e property risk consultant. “Proprio in merito al trasferimento dei rischi, è necessario provvedere alla corretta progettazione del programma assicurativo internazionale più adatto alle esigenze, agli obiettivi e alla risk tolerance aziendale”. Si tratta di un processo complesso che incontra diverse complessità: disomogeneità nelle giurisdizioni applicabili, diverse esigenze di coperture a livello locale, differenze nelle capacità di ritenzione tra società dello stesso gruppo oppure diverse necessità di massimali, nonché differenze nella valutazione e gestione degli eventi dannosi da paese a paese. Proprio perché le complessità in gioco sono tante e ogni azienda è un caso a sé, non esiste una soluzione standard valida per tutti.

Come scegliere il programma assicurativo più adatto

Agli opposti si trovano i programmi “decentralizzati”, con emissione di polizze separate in ogni Paese (e ovvie complessità gestionali e di uniformità conseguenti) e “globali”, con emissione di un’unica polizza a copertura di tutto il mondo (da cui derivano rischi di non adeguatezza normativa e mancanza di supporto locale). Ci sono poi delle soluzioni intermedie, più complesse da strutturare, ma più efficaci.
“Nei Controlled Master Program (CMP)” spiega Accinelli “attraverso un assicuratore globale, viene emessa una polizza nel paese d’origine (polizza master) con condizioni e limiti omogenei per tutti i Paesi e per tutte le società assicurate nonché specifiche polizze locali (fronting policies) nei Paesi d’interesse, in applicazione alla polizza Master”. Nel concreto, la polizza master opera rispetto alle fronting policies in secondo rischio, ossia ad esaurimento del capitale o massimale assicurato nella fronting, nonché in differenza di condizioni, qualora la fronting non fosse in grado di essere attivata direttamente. “I CMP permettono di avere un controllo centralizzato delle polizze e dei sinistri e di realizzare economie di scala sia nei premi pagati sia nella qualità normativa delle polizze. Allo stesso tempo garantiscono conformità alle norme locali e un supporto sul territorio, anche grazie al fatto che le polizze vengono emesse nella lingua del paese di riferimento e costruite su standard di coperture locali (c.d. good local standard). Permettono inoltre all’azienda di attuare politiche di ritenzione diversificate per settore di attività, tipologia di rischio o valore assicurato”.

Il broker al centro del coordinamento

Una soluzione con soli vantaggi, dunque? Non proprio: l’investimento in termini di tempo per la pianificazione di programmi così complessi è notevole, e – soprattutto – gli assicuratori che hanno reali capacità di strutturarli sono pochi, soprattutto in Italia. “Premesso che bisogna sempre comunque tenere conto delle specificità del caso” conferma Accinelli “per strutturare un programma assicurativo completo, coerente e conforme –  che massimizzi i vantaggi e minimizzi gli svantaggi appena descritti – il ‘coordinamento’ è la parola chiave, tra cliente, broker e assicuratore”.
“Un buon coordinamento necessita di una compagnia di assicurazioni specializzata, dotata di un team internazionale altamente qualificato e di un network solido e diffuso capillarmente, a cui l’intermediario dovrà necessariamente affiancare una rete affidabile, competente e coesa di broker partner nei vari Paesi. L’intermediario deve inoltre essere capace di comunicare efficacemente tra tutte le parti coinvolte, sia nella fase di implementazione che di gestione dei programmi, definendo insieme al cliente i ‘focal points’ in ogni paese e nella società capogruppo” conclude Accinelli.

L’international Hub di Strategica

Proprio per rispondere alla domanda di supporto delle sempre più numerose aziende italiane che ricercano la via dell’internazionalizzazione, riprende Guarnerio, “Strategica Group ha sviluppato al suo interno l’International Hub, una struttura specializzata nella realizzazione di programmi assicurativi internazionali complessi. L’International Hub può contare su una partnership esclusiva con il più importante network di intermediari indipendenti al mondo, presente in 90 Paesi e composto da oltre 20.000 professionisti specializzati, su tool e servizi dedicati alla gestione dei programmi assicurativi internazionali e su contrattualistiche dedicate che tutelano tutte le parti coinvolte. Grazie a ciò, siamo in grado di offrire alle aziende un servizio su scala globale ma con un approccio tailor made, da boutique, ed è attualmente un unicum nel panorama italiano”.  

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