Le tre sfide degli investimenti sostenibili: chi vince tra Esg e Sdg?

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Misurare l’effettiva sostenibilità degli investimenti diventa sempre più importante per orientare le scelte tra diverse soluzioni. Robeco ha quindi messo a confronto gli Sdg con i tradizionali rating Esg per capire quali criteri sono più adatti ed efficaci

Di fronte a un’offerta sempre più ampia di strumenti per investire in maniera sostenibile, nasce l’esigenza di misurare l’effettiva aderenza della strategia ai valori ambientali, sociali e di governance, attraverso una selezione efficace. In altre parole, come essere sicuri di star puntando su un’azienda realmente attenta alla sostenibilità? I classici criteri Esg (Environmental, Social and Governance, ossia gli standard ambientali, sociali e di governance) sono recentemente entrati nel dibattito pubblico, in quanto sembra che a volte falliscano nel catturare l’effettivo impatto sociale e ambientale di alcune aziende. Basta pensare al fatto che British American Tobacco, il colosso americano del tabacco, è stato incluso nella top tre delle aziende con migliori rating Esg e lo stesso è accaduto anche con alcuni giganti del settore minerario e di estrazione.

La soluzione, secondo Robeco, potrebbe trovarsi in una valutazione in cui entrano in gioco anche i criteri Sdg, ovvero gli obiettivi di sviluppo sostenibili (Sustainable Development Goals), in quanto in grado di misurare l’impatto reale delle aziende. Lo dimostra il suo recente studio “Corporate Sustainability Performace: introducing an Sdg score and testing its validity relative to Esg rating” (tradotto, “Performance di sostenibilità aziendale: un’introduzione alla valutazione Sdg, verificando la sua validità e confrontandola con il rating Esg), condotto in collaborazione con la Rotterdam School of Management. La ricerca prende in analisi e compara lo score Sdg di Robeco con i tradizionali rating Esg, con l’obiettivo di valutare la loro efficacia in tre particolari ambiti:

1. Allineamento alle preferenze sostenibili degli investitori

Innanzitutto, “è fondamentale capire se i criteri di valutazione sono in grado di identificare le aziende che, secondo gli investitori, hanno un impatto negativo e che, di conseguenza, non vengono considerate dagli asset owners”, spiegano Jan Anton van Zanten, Sdg strategist di Robeco, e Joop Huij, head of indices di Robeco. Si tratta delle imprese che finiscono nella cosiddetta exclusion list, ovvero che rimangono fuori dalla selezione perché hanno un impatto negativo sull’ambiente oppure non sono in linea con i diritti umani o ancora operano in quei settori considerati poco etici, come tabacco e armi. “Ci si aspetta – sottolineano gli esperti – che un metro di misura adatto per la sostenibilità, assegni a queste aziende una valutazione bassa e ad aziende con un influenza positiva in ambito di sanità, energia sostenibile e acqua assegni una valutazione elevata”.

2. Allineamento alla tassonomia europea

Il secondo test ha l’obiettivo di determinare se i criteri Esg e quelli Sdg si attengono alla tassonomia europea, che indica quali tipologie di comportamenti aziendali violano il “do-no-significant-harm”, ossia il principio secondo cui gli interventi previsti dai programmi nazionali non arrechino danno all’ambiente. A questo riguardo c’è da aspettarsi “che le aziende che causano un danno significativo, violando quindi il principio, ottengano una valutazione di sostenibilità negativa”.

3. Allineamento alle ambizioni di limitazione del cambiamento climatico

Il terzo e ultimo test guarda invece alle azioni che non limitano il cambiamento climatico, ma anzi lo favoriscono. In particolare, l’esame valuta se le aziende che emettono più gas effetto serra ottengono anche punteggi di sostenibilità più bassi.

Ebbene, sulla base di questi tre prove, la ricerca dimostra che gli Sdg rispondono in maniera più adeguata: per lo più tutte le aziende della exclusion list e che inquinano di più, sia dal punto di vista delle emissioni che del danno creato, ottengono un punteggio basso. E allo stesso tempo viene attribuito un punteggio positivo alle aziende che fanno parte di fondi tematici e rispettano la tassonomia europea. Non si può dire invece la stessa cosa dei tradizionali rating Esg e ciò prova, sottolineano Van Zanten e Huij “che vi è una possibilità non indifferente che le strategie che integrano unicamente i criteri Esg continueranno ad investire in aziende con impatto negativo”. Ciò non significa, certamente, che questi standard non siano validi nella costruzione delle strategie di investimento sostenibile, ma piuttosto che dovrebbero essere affiancati anche dagli obiettivi Sdg.

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