Mercato toro nel 2022? 4 fattori che potrebbero impedirlo
14.2.2022
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Gli esperti di Robeco hanno individuato quattro fattori a cui gli investitori dovrebbero fare attenzione perché potrebbero frenare la ripresa del trend rialzista nel 2022
4 fattori che potrebbero impedire un mercato toro nel 2022
1. L'inflazione
Negli Stati Uniti, l'indice dei prezzi al consumo (Ipc) a gennaio è stato pari al 7%. Livelli così elevati di inflazione (raggiunti anche a causa delle carenze di fornitura registrate al termine dei lockdown e con l'aumento dei prezzi dell'energia), stanno riducendo il potere d'acquisto di aziende e consumatori. “Nei prossimi mesi il rischio di inflazione tenderà a crescere ulteriormente, anche se successivamente ci aspettiamo un drastico calo”, afferma van der Welle. “I mercati finanziari hanno capito che la Fed vuol fare battaglia all'inflazione e, per fronteggiare il rischio inflazionistico, hanno già scontato cinque aumenti dei tassi per il 2022”, con la possibilità di creare ulteriori turbolenze. Dopodiché, però, i mercati potrebbero accorgersi del rallentamento dell'inflazione, quantomeno nelle componenti cicliche, maggiormente influenzate dall'andamento dell'economia. “Se consideriamo il minor tasso di incidenza di base dei prezzi del petrolio, l'inflazione Ipc dovrebbe comunque scendere a circa il 3,5%”, ossia verrebbe dimezzata rispetto agli attuali livelli su base annua.
2. Il crollo della domanda dei beni di consumo
I dati riportati nell'External report database del Fondo monetario internazionale (Fmi) riportano un cambio radicale nella struttura dei consumi durante la crisi pandemica. A causa dei lockdown e delle restrizioni negli ultimi 18 mesi, la quota di consumi rappresentata dai servizi ha subito un drastico calo e il potere d'acquisto dei consumatori si è riversato sui beni. La fine della pandemia (con l'indebolimento della variante Omicron) e la riapertura del settore dei servizi potrebbero implicare una riduzione della domanda di beni di consumo durevoli. “Il calo dei consumi potrebbe imporre una flessione agli indici manifatturieri come l'Ism (Institute for supply management)”, afferma l'esperto “soprattutto se dovesse scendere sotto quota 55”. Come spiegato da van der Welle, infatti, qualsiasi cifra superiore a 50 denota crescita e le previsioni di consenso relative all'aumento del Prodotto interno lordo (Pil) reale sono in linea con un Ism pari a circa 56. “Qualsiasi timore per la crescita potrebbe avere vita breve, visto che la ripresa dei servizi dovrebbe mantenerne il valore al di sopra del trend; si tratta quindi di un rischio che i mercati possono superare”, rassicurano da Robeco.
3. Le tensioni tra Russia e Ucraina
Sono circa 100 mila i soldati russi stanziati al confine ucraino. Putin, una volta rientrato dalle Olimpiadi invernali di Pechino, potrebbe voler procedere con la conquista della regione contesa del Donbass, nell'est dell'Ucraina. Le sue ambizioni si scontrano però con le severe sanzioni minacciate dall'occidente. “Inoltre, è molto improbabile che un paese con una disputa in atto riguardo i propri confini possa entrare nella Nato. La vicenda potrebbe quindi essere di breve durata”, aggiunge l'esperto.
L'attenzione degli investitori dovrebbe essere rivolta al valore dei credit default swaps (cds, categoria di strumenti derivati sul rischio di credito che offre la possibilità di coprirsi dall'eventuale insolvenza di un debitore contro il pagamento di un premio periodico). Gli attuali spread dei Cds del governo russo equivalgono a un terzo di quelli registrati durante il picco della crisi del 2014, quando ad essere annessa è stata la Crimea (210 punti base contro i 600 dell'epoca). “Possiamo quindi affermare con discreta sicurezza che si tratta di un rischio sottovalutato”, commentano da Robeco. “Difficilmente questa crisi produrrà un nuovo mercato ribassista, ma potrebbe far salire il prezzo del petrolio dagli attuali 89 dollari al barile a oltre la delicata soglia dei 100 dollari. Tutto sommato ci pare un rischio gestibile”.
4. L'eventualità di un atteggiamento più aggressivo della Fed
La Fed ha annunciato, durante la conferenza stampa del 26 gennaio scorso, di essere pronta ad alzare i tassi nel mese di marzo e subito dopo potrebbe dare inizio al processo di riduzione del bilancio. Un rischio che, secondo gli esperti, ha già provocato la correzione dei mercati di gennaio e che sarebbe non facile da controbilanciare. Se la stretta monetaria dovesse attuarsi e i bilanci della Fed ridimensionarsi, i multipli dei mercati azionari potrebbero subire una flessione (con un processo invertito rispetto a quanto osservato con il quantitative easing). Le valutazioni dell'azionario statunitense, misurate tramite il rapporto prezzo/utili dell'S&P 500, sono storicamente elevate. “L'ondata di vendite di gennaio ha ridotto tutti i multipli, ma l'S&P 500 si è mantenuto del 30% superiore alla media storica degli ultimi 40 anni”, spiega l'esperto. Se calasse il rischio d'inflazione, la politica della Fed potrebbe rivelarsi meno aggressiva e più favorevole al mercato nel secondo o nel terzo trimestre, allontanando ulteriori rialzi dei tassi.
“Finché i tassi di crescita dei mercati sviluppati supereranno il trend, riteniamo che i mercati azionari sapranno gestire un ulteriore aumento dei tassi di interesse reali e quindi adattarsi alla nuova realtà” commenta van der Welle. Questa correzione, perciò, potrebbe non preannunciare la fine della fase di rialzo dell'azionario, né la scadenza del fenomeno che gli esperti chiamano Tina (There is no alternative). “Gli attuali parametri di valutazione relativa, tra cui il premio al rischio azionario, invitano alla prudenza, perché il rischio di ribasso è in crescita, nonostante la storia ci insegni che a questi livelli i titoli azionari tendono a sovraperformare le obbligazioni. Per i prossimi 12 mesi, rimaniamo ottimisti sull'azionario”.