Arriva la stretta sul costo fiscale delle partecipazioni

L’interpretazione restrittiva adottata dall’Agenzia delle Entrate con la risposta 242 del 2020 rende più difficili le riorganizzazioni degli assetti, anche in ottica di passaggio generazionale

L’opportunità di rideterminare il costo fiscale delle partecipazioni societarie viene periodicamente rinnovata dal legislatore, riscuotendo sempre un notevole successo tra i contribuenti. Questo avviene perché, soprattutto nel contesto di partecipazioni detenute da molto tempo, e con costi fiscali che sono diventati ben lontani dai valori di mercato, la norma, mitigando la fiscalità per i soci, è essenziale nel favorire operazioni di ingresso nel capitale di nuovi soci (quali fondi di private equity o partner industriali), nonché di riorganizzazione degli assetti partecipativi, anche nella prospettiva del passaggio generazionale. La rideterminazione si applica a quote di società non quotate detenute da persone fisiche (non in regime d’impresa) ed enti non commerciali: l’imposta sostitutiva è attualmente applicata nella misura dell’11% del valore rideterminato.

Circa gli effetti della rideterminazione del costo fiscale delle partecipazioni, l’Agenzia delle Entrate ha recentemente adottato, nella risposta 242 del 2020, una posizione particolarmente restrittiva. La risposta ha avuto a oggetto un’operazione di merger leveraged buy-out, che si è svolta come descriviamo di seguito.

Al centro vi è una srl partecipata da un gruppo di soci persone fisiche, alcune delle quali avevano proceduto alla rivalutazione delle partecipazioni nel 2012 (quindi in epoca risalente e non a ridosso dell’operazione di leveraged buy-out a cui si fa qui riferimento). Nell’ambito di una riorganizzazione della compagine societaria, veniva costituita una nuova società partecipata solo da alcuni dei soci della srl, oltre che da un nuovo socio. Dei soci superstiti presenti nella newco, uno incrementava la propria partecipazione (acquisendone peraltro il controllo) mentre gli altri la riducevano corrispondentemente. Infine la newco acquistava con debito bancario le quote della srl da tutti i soci, sia dai quelli superstiti partecipanti alla newco sia da coloro che alla newco non avevano partecipato. I primi reimmettevano parte della liquidità ricevuta dalla vendita in newco per estinguere il debito bancario; infine la newco veniva incorporata nella srl mediante fusione inversa.

Secondo l’Agenzia delle Entrate – chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della fattispecie ai sensi della disciplina in materia di abuso del diritto di cui all’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000 – l’operazione era assolutamente legittima nei confronti dei soci uscenti. Questi ultimi potevano liberamente scegliere tra il recesso tipico, che non avrebbe consentito di fruire della rivalutazione dando luogo a un reddito di capitale rispetto al quale il costo fiscale rideterminato non assume rilevanza; e recesso atipico, attuato mediante cessione delle quote, che invece avrebbe consentito di fruire della rivalutazione.

Al contrario, i soci superstiti – ovvero i soci della srl che erano confluiti nella newco e ne erano diventato soci di minoranza – avrebbero dovuto procedere con il recesso tipico, pertanto senza fruire della rivalutazione. Secondo l’Agenzia delle Entrate, infatti, lo schema adottato nei confronti di tali soci “comporta un numero superfluo di negozi giuridici, il cui perfezionamento non è coerente con le normali logiche di mercato, ma appare idoneo unicamente a far conseguire un vantaggio fiscale indebito ai soci” senza che siano “rinvenibili valide ragioni extrafiscali non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che giustifichino l’insieme dei negozi giuridici prospettati”.

Nulla viene detto con riferimento al socio di maggioranza della newco. Sembrerebbe logico ritenere che l’operazione non generi alcun vantaggio fiscale immediato ma, dall’altra parte, che il valore fiscale della partecipazione nella newco non debba essere quello rivalutato. Le conclusioni interpretative contenute nella risposta sono alquanto discutibili e, soprattutto, sembrano ancora una volta dare poca rilevanza al fatto che la stessa norma in materia di abuso del diritto salvaguardi “la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.Al contempo, la posizione interpretativa assunta dall’Agenzia delle Entrate richiede certamente di valutare con molta attenzione tutte le operazioni in cui la cessione di una partecipazione, previa rideterminazione del costo fiscale, sia seguita da un reinvestimento da parte del socio cedente. Tale ipotesi si verifica peraltro di frequente in molte operazioni di acquisizione di quote di controllo da parte di fondi di private equity.

Si tratta di fattispecie generalmente molto diverse da quella oggetto della risposta, e rispetto alle quali l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate ivi contenuta non può estendersi automaticamente. In molti casi è infatti del tutto irragionevole ipotizzare che l’acquirente (il fondo) possa acquisire le quote della società target mediante un aumento di capitale seguito dal recesso (tipico) dei soci superstiti, anziché mediante compravendita. Ciò nonostante, i chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria destano preoccupazione, non potendo escludersi che le possibilità di fruizione della norma di rideterminazione delle partecipazioni possano in futuro subire ulteriori restrizioni.

Paolo Ludovici

Gli articoli pubblicati sono stati realizzati da giornalisti e contributors di We Wealth e vengono forniti a Poste Premium a scopo informativo.


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