Cina-Usa: a chi il primato per la tecnologia?

Tecnologia in portafoglio: tutti ce l’hanno, tutti ne parlano, tutti ne danno una loro versione. Facciamo chiarezza sui driver del settore con Stefano Reali e Riccardo Volpi di Pharus

Nel bilancio tra rischi e opportunità del comparto tecnologico, a prevalere è ancora la seconda voce. Regolamentazioni più stringenti, tensioni geopolitiche e valutazioni elevate hanno infatti sottolineato un dato di fatto: la centralità di un comparto che attira su di sé l’attenzione di tutti, creando, a tratti, alta tensione.
“Quando parliamo di tecnologia ci rivolgiamo ad un settore estremamente eterogeneo” commenta Stefano Reali, Fund & Portfolio manager di Pharus, “fatto da una moltitudine di realtà diverse e di altrettanto diverse dinamiche”.

Settore tech, cenni (globali) di regolamentazione

L’aspetto più importante oggi è quello che lega la tecnologia alla politica, che si tratti di Stati Uniti, o Cina: se in occidente si è fatta concreta la proposta di una regolamentazione più stringente per le big del settore, la Cina non è da meno. Il Vecchio Continente ha approvato la direttiva sulla cooperazione fiscale (n.2021/514/Ue) che impone alle big del web l’obbligo di comunicare i ricavi derivanti dalle rispettive piattaforme digitali, per il pagamento della quota di imposte appropriata. Gli Stati Uniti, dal canto loro, tramite le parole del segretario al Tesoro, Janet Yellen, hanno annunciato ai ministri delle finanze del G20 che Washington è pronta ad abbandonare la cosiddetta clausola del porto sicuro per le multinazionali, proponendo quindi una corporate tax atta a ridurre la possibilità per le aziende statunitensi di delocalizzare.
Linea più dura dalla Cina che, nel fornire un chiaro segnale al mercato e alle big della tecnologia, ha sanzionato il colosso dell’e-commerce Alibaba, fondato da Jack Ma, con una multa da 2,8 miliardi di dollari (pari al 4% dei ricavi aziendali) per abuso di posizione dominante, imponendo ad Ant, fintech controllata da Alibaba, l’invio della richiesta come holding finanziaria controllata dalla banca centrale cinese.
“Con queste azioni politiche, il governo ha rimesso Jack Ma al suo posto” ha commentato Riccardo Volpi, portfolio manager di Pharus. Ant pesa al momento circa il 55% dei pagamenti non-bank in Cina, “una minaccia per i settori tradizionali e per il ‘partito’ che in esse investe”.

La questione dei chip di Taiwan (e del nuovo petrolio)

Non è tutto. Sempre in Cina l’attenzione è alta su un altro fronte: quello di Taiwan, primo produttore mondiale di chip, con il 60% della produzione globale. “Al porto di Taiwan si vive oggi una situazione surreale: davanti ad esso ci sono infatti navi americane e navi cinesi; alcuni analisti sostengono che, entro un anno, i cinesi entreranno a Taiwan, rivendicandone il controllo”. I semiconduttori sono ormai diventati la materia prima dell’economia, per le loro caratteristiche elettriche a metà tra i conduttori e gli isolanti, in qualità di componenti fondamentali per i microprocessori.
E se è vero che il vecchio petrolio è ora la tecnologia, “le grandi potenze d’occidente dovranno capire come cercare di ritagliarsi la propria fetta di mercato davanti ad una Cina che avanza” aggiungono gli esperti di Pharus.

Il pugno duro di Pechino (e il deficit Usa)

Vi è poi un ultimo rischio per il comparto: quello di una nuova serie di ritorsioni commerciali, che dal fronte americano non si sono mai interrotte e che, anzi, hanno intensificato il proprio ritmo. Washington ha infatti proseguito con il delisting delle aziende tecnologiche a Wall Street aventi rapporti con le forzi militari cinesi, inserendo nella blacklist delle società con cui è vietato fare business non solo le realtà tech, ma anche i player del supercomputing.
“Ci sono quindi diverse domande sul piatto” aggiunge Volpi: “riuscirà l’America a tornare protagonista nel mercato dei chip, o dovrà stare su Taiwan? Le aziende statunitensi dovranno investire molto nel settore per non rischiare di restare scoperte. E se starà su Taiwan, come si relazionerà con Pechino? Che i rapporti tra le due superpotenze siano inclinati è palese; se Pechino allargherà la propria influenza verso Taipei, Washington potrebbe trovarsi in una posizione di svantaggio”. E quindi ancora: “Come faranno le aziende Usa a colmare il deficit di chip considerato che tutte le società produttori di questa tecnologia in Cina sono sotto sanzioni americane?”.

Tecnologia, non solo chip (focus sulla cybersec)

In attesa di sciogliere il nodo Washington-Pechino-Taipei, “oltre al settori dei chip e dei semiconduttori, l’universo investibile tecnologico si apre ad altre aree fondamentali” sottolinea Reali, come il settore della sicurezza informatica, dei software, degli hardware, del cloud, dell’intelligenza artificiale e, in generale, della new economy.
“Sebbene su alcuni nomi del comparto tech le valutazioni appaiano effettivamente eccessive -parliamo di quelle aziende che al momento non producono utili ma il cui rapporto prezzo utile continua a salire-, la tecnologia continuerà a entrare anche indirettamente nelle nostre vite, in settori pur diversi da quelli che ormai abbiamo imparato a conoscere (social e motori di ricerca in primis), ma sempre più sostanziali nell’era digitale”.

 
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