L’oro torna a brillare (e le banche centrali ne sanno qualcosa)

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Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 il metallo giallo è tornato nel mirino degli investitori, complici diversi fattori. A prescindere da dove andranno i prezzi futuri, l’oro può ricopre ancora un ruolo centrale in un portafoglio multi-asset. Ecco perché

Mercati volatili ed elevata inflazione spingono gli investitori alla ricerca di asset che possano proteggere (e stabilizzare) il portafoglio. Tra questi, il più noto è forse l’oro, bene rifugio per eccellenza che, grazie alla propria capacità di preservare valore nel tempo e a un’offerta naturalmente limitata, storicamente sperimenta una decorrelazione tra l’andamento dei suoi prezzi e quello delle altre principali classi di attivi, azioni in primis. Lo conferma uno sguardo al passato: “in tutti i mercati ribassisti degli ultimi 50 anni, in particolare durante la crisi finanziaria del 2008, l’oro ha svolto un ottimo lavoro di stabilizzazione del portafoglio” spiega Jan Viebig, Global Co-Cio e Head of Multi-Asset di ODDO BHF Asset Management. Anche uno sguardo ai più recenti movimenti supporta tale tesi, dato che “da febbraio 2022 a gennaio 2023, l’oro ha guadagnato il 7% in euro, mentre l’indice MSCI World ha perso il 13%, in euro”. 

Oro, politica monetaria e inflazione  

A spingere la performance dell’oro è ora in primo luogo la prospettiva di una politica monetaria attesa meno aggressiva nel 2023. Tuttavia, non è solo il percepito “addolcimento” delle banche centrali, tuttavia, a contribuire al rally del metallo giallo. “Anche un’inflazione ostinatamente elevata potrebbe sostenere l’oro” continua Viebig, in quanto “più aumenta, più diminuiscono valore dei depositi bancari e fiducia nelle banche centrali. L’inflazione, inoltre, aumenta i costi di estrazione (a circa 1.200 dollari Usa per oncia troy nel 1° trimestre 2022), favorendo un aumento dei prezzi dell’oro”. 

Banche centrali più interessate al metallo giallo

Un ulteriore fattore in gioco per il ritorno dell’oro nel radar degli investitori appare invece meno scontato. Si tratta infatti della domanda di metallo giallo, che nel 2022 si è attestata a 4.742 tonnellate (mercati non regolamentati esclusi), sfiorando il livello del lontano 2011 (4.746 tonnellate) e salendo del 18% rispetto all’anno precedente, stando a quanto ha riportato il World Gold Council il 31 gennaio scorso. I principali compratori? Le banche centrali, le quali hanno acquistato oro per volumi pari a 1.136 tonnellate, con il massimo delle attività concentrate nel terzo e nel quarto trimestre del 2022. “Il congelamento delle riserve valutarie russe, che erano dominate in euro, franchi svizzeri, sterline o yen, ha dimostrato a molti paesi che mantenere riserve d’oro nel proprio Paese può essere molto importante per poter continuare a pagare i beni importati” aggiunge Viebig. Interessante è soprattutto il fatto che per trovare volumi simili nell’acquisto di oro da parte di tali istituti sia necessario tornare indietro di 55 anni. In questo contesto, “i principali acquirenti sono [stati] i Paesi emergenti come Turchia, Egitto, Iraq, India o Argentina, che vogliono diventare meno dipendenti dal dollaro”. 

L’oro in un portafoglio multi-asset

In conclusione, nonostante adesso le obbligazioni presentino rendimenti interessanti, mentre l’oro non produce alcun rendimento, il metallo giallo può essere un tassello efficace da tenere in portafoglio. Secondo Viebig, seppure nel futuro ci siano “molte ragioni per un ulteriore aumento del prezzo dell’oro”, a interessare gli investitori dovrebbe essere più che altro la ritrovata forza del metallo giallo nel suo storico ruolo di protezione di un portafoglio, specie se multi-asset. “A nostro avviso” conclude l’esperto di ODDO BHF AM “un’allocazione in oro fino al 10% in un portafoglio puramente azionario (in misura proporzionalmente inferiore in un portafoglio misto) può quindi avere un effetto stabilizzante sul ritorno del portafoglio”.

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