Nuovi obiettivi Esg, nuovi board member? Una ricerca dice sì

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Che fare se le aziende non sono interessate ad aprirsi alla sostenibilità? Sostituire i membri del consiglio direttivo potrebbe essere una risposta. Vediamo come con NN Investment Partners

Gli investitori sono sempre più interessati agli effetti che le aziende hanno sull’ambiente. Ma che fare quando le aziende non mostrano iniziativa nel diventare più sostenibili? È stato questo il tema ricorrente di tutte le puntate del Sustainable Investing Summer Course, organizzato da NN Investment Partners con il coinvolgimento delle migliori università al mondo.

Nel corso dell’ultimo incontro, tenutosi presso l’università Bocconi di Milano, Hannes F. Wagner, docente di finanza sostenibile, ha spiegato che gli investitori pongono due principali richieste ai gestori di portafoglio: quella “di migliorare le reali prestazioni sostenibili, come abbassare le emissioni o l’uso energetico, e [quella] di implementare la trasparenza delle loro azioni”.

È in particolare il primo punto a sollevare spesso questioni delicate, afferma Wagner. Infatti, i board member delle aziende potrebbero non avere le stesse ambizioni e le stesse priorità degli investitori. Lo confermano le evidenze di alcune ricerche: secondo KPMG, ad esempio, il 53% dei direttori e dei membri dell’esecutivo non percepisce il focus sugli obiettivi ambientali, sociali e di governance (ESG) come un fattore utile a migliorare le performance delle aziende e solo l’11% tra di loro applica una struttura di controllo rigorosa quando si parla di sostenibilità. Tuttavia, così facendo il gap tra lo slancio sostenibile degli investitori e l’impegno attivo delle aziende risulta sempre più ampio.

La soluzione più semplice a cui pensare è di convincere i board member delle imprese della validità delle opzioni sostenibili, ma questo potrebbe risultare molto più complesso del previsto. Quindi, secondo Wagner, l’opzione migliore rimane quella di sostituire questi membri attraverso un meccanismo di governance efficiente. Si tratta, senza dubbio, di una soluzione estrema, ma sembra l’unica possibile. Inoltre, non si tratterebbe di una novità: “sostituire alcuni amministratori, con l’obiettivo di migliorare la governance e avvicinarsi maggiormente alle richieste e all’approccio degli investitori è un approccio tipico delle aziende attiviste”.

Una domanda rimane però ancora aperta: come si fa a modificare il consiglio amministrativo di un’azienda? Per rispondere il professor Wagner ha presentato i risultati della ricerca Renewable governance: good for the environment?, da lui recentemente condotta, secondo la quale sono due i meccanismi migliori da implementare in caso di eterogeneità di obiettivi. “La prima possibilità è quella di introdurre un sistema di voto maggioritario per ogni membro del consiglio; ovvero, se questo non riceve la maggioranza assoluta di voti, deve consegnare le sue dimissioni”. Wagner ritiene che in un sistema simile il potere degli investitori cresce esponenzialmente, dal momento che la possibilità che il gruppo direttivo possa cambiare è molto alta.

La seconda opzione ha invece a che fare con l’introduzione di nuovi membri femminili nel consiglio amministrativo. “Questo rappresenta chiaramente un cambio all’interno dei poteri; ovviamente, ogni nuovo membro ne sostituirà uno passato non verrà semplicemente aggiunto”. Per provare l’efficacia di questi meccanismi, Wagner ha portato l’esempio della Francia. Nel 2011 è stata infatti approvata la legge Copé-Zimmermann, secondo cui le aziende quotate devono avere almeno il 40% di membri del sesso meno rappresentato. In questo modo, non solo la presenza femminile è passata dal 10% del 2009 al 45% nel 2019, ma le performance in ambito di sostenibilità ambientale sono aumentate tra il 13% e il 14% in ognuna delle aziende analizzate.

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