5 ingredienti e 1 regola: come costruire un portafoglio net-zero

Un portafoglio totalmente net-zero è difficile da costruire, ma l’analisi dei dati e la selezione critica degli emittenti possono aiutare gli investitori ad allineare le proprie strategie all’obiettivo di neutralità climatica

La crisi climatica non potrà essere risolta dai soli buoni propositi degli investitori, ma questi ultimi potranno comunque essere utili alla lotta per la decarbonizzazione. Le scelte di portafoglio orientate alla strategia net-zero possono infatti aiutare a rallentare e contrastare l’aumento delle emissioni di co2. Edith Siermann, Head of fixed income solutions and responsible investing di NN Investment Partners e Nathalie van Toren, Responsible investment and climate lead di NN Group, offrono 5 consigli per progettare una strategia di portafoglio net-zero. 

Come costruire un portafoglio net-zero: 5 ingredienti

1. Fare il punto della situazione 

Prima di tutto, “bisogna guardare ai propri obiettivi e capire se e quando si vuole implementare un approccio net zero” spiega Siermann. Solo dopo un’attenta analisi del proprio portafoglio, che tenga conto dei propri obiettivi personali e finanziari si può infatti avere un’idea precisa di quanto le proprie asset class siano allineate rispetto all’obiettivo net-zero. Occorre valutare periodicamente le emissioni ascrivibili ai titoli presenti nel proprio portafoglio, sia quelle passate che quelle future. In questo modo è possibile osservare quali aziende si sono allineate meglio rispetto agli obiettivi di sostenibilità ambientale e cosa intendano fare in tal senso. Questa analisi, precisa l’esperta, va replicata anche quando si aggiunge un nuovo strumento a quelli già presenti. 

2. Essere proattivi 

Per generare un impatto concreto grazie ai propri investimenti, rimuovere dal proprio portafoglio gli emittenti meno ‘green’ non è sufficiente, in quanto si sta semplicemente trasferendo ad altri un problema invece che risolverlo. Per questo, spiegano le esperte “crediamo che sia molto meglio impegnarsi con le aziende per convincerle a migliorare le loro pratiche e limitarsi a disinvestire solo laddove l’emittente non allinei suoi processi agli obiettivi di neutralità climatica”. 

3. Considerare le aziende… 

Solo un quinto delle 2000 più grandi aziende globali ha dichiarato di voler implementare una strategia net-zero, afferma il think thank britannico Energy and Climate Intelligence Unit nel suo report Taking stock: A global assessment of net zero targets: troppo poco per costruire un intero portafoglio, spiegano Siermann e van Toren. È perciò cruciale capire chi si sta muovendo sulla giusta strada e per fare ciò, ancora una volta, bisogna partire dall’analisi dei dati, soprattutto se si guarda al medio-lungo periodo. I database dello Science based targets, partnership tra le Nazioni Unite, il World wildlife fund (Wwf) e il World resources institute possono essere d’aiuto in ciò, così come quelli di iniziative simili. “Quando si considerano le emissioni future”, spiega van Toren, “è importante tenere a mente che le aziende strutturano i loro piani rispetto ad orizzonti temporali diversi e, cosa ancora più importante, molte aziende contano sull’emergere di nuove tecnologie per aiutarle a ridurre le loro emissioni”. 

4. … ma anche gli stati 

Anche gli stati, con le loro politiche, contribuiscono in positivo o in negativo rispetto agli obiettivi di neutralità climatica e la valutazione dei loro effetti deve essere alla base del processo di selezione degli strumenti sovrani. Anche in questo caso è possibile affidarsi a fonti autorevoli quali il Climate change performance index di Germanwatch, che tiene conto delle performance degli stati verso la neutralità climatica dei 60 paesi e dell’Unione Europea. Tuttavia, precisa Siermann “non esiste un layout comune per i piani sul clima sovrani e i KPI, e gli obiettivi climatici differiscono per paese, il che rende difficile confrontare le prestazioni”. 

5. Adottare un approccio critico 

“La pressione sugli emittenti affinché riferiscano sugli obiettivi e sui piani relativi al clima e divulghino i dati non farà che aumentare” affermano le esperte. “Allo stesso tempo, però, anche i requisiti cambieranno e ciò significa essere flessibili nell’adattare la propria strategia nel tempo.
Uno delle maggiori criticità e che i soggetti che mettono disposizione i dati difficilmente avranno un data set per ciascuna delle aziende presenti nel portafoglio. Inoltre, i dati Esg di solito vengono aggiornati una volta all’anno e sono spesso forniti con ritardo, quindi non sempre sono significativi da soli”. Questo vuol dire che l’analisi dei dati è un punto di partenza e non di arrivo: gli investitori dovranno infatti integrarli con ricerche condotte in autonomia e adottando un approccio critico nella valutazione e selezione degli emittenti. “Non esiste una soluzione immediata o che si adatti ad ogni portafoglio, in quanto molto dipende dall’asset allocation iniziale e dagli obiettivi di investimento. Tuttavia, crediamo che gli investitori possano implementare misure per superare queste sfide e ridurre nel tempo e in maniera graduale la carbon footprint dei propri portafogli nel tempo” concludono le esperte.

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