Chi vince e chi perde nella sfida energetica contro Mosca

L’uscita dall’interdipendenza fra Russia ed Europa favorirà le energie alternative, ma non nel breve termine, afferma Lazard Asset Management

La trasformazione della geografia energetica è uno dei fenomeni più interessanti fra quelli innescati dall’invasione russa dell’Ucraina. Da quel 24 febbraio, gli stati membri dell’Unione europea si sono impegnati per sostituire la gran parte delle materie prime energetiche provenienti dalla Russia. Lo scorso aprile, con l’approvazione del quinto pacchetto di sanzioni, l’Ue ha sancito il blocco delle importazioni di carbone russo, a partire dal prossimo 10 agosto. In precedenza, la Commissione europea aveva fissato l’obiettivo di ridurre le importazioni di gas russo di due terzi entro la fine dell’anno. Un sesto pacchetto di sanzioni comunitarie, poi, sta faticando a ottenere il consenso unanime dei 27 membri per estendere il blocco anche al petrolio proveniente da Mosca. L’ultimo tentativo di mediazione fallito dal Consiglio dei ministri degli esteri Ue è del 17 maggio, anche se “gli ambasciatori continuano a discutere”, ha chiarito l’Alto rappresentante, Josep Borrell. 

Sul fronte opposto, il presidente Vladimir Putin, ha cercato sfruttare l’impopolarità dei rincari per allontanare l’opinione pubblica dalle scelte dei leader europei. “Il rifiuto delle risorse energetiche russe significa che l’Europa sistematicamente, a lungo termine, diventerà la regione con il più alto costo per le risorse energetiche al mondo”, ha detto il presidente russo il 17 maggio, “e questo, secondo alcuni esperti, può minare irreversibilmente la competitività di una parte significativa dell’industria europea”. E sulla spinta attesa sulle energie rinnovabili Putin ha dichiarato che si stratta di una sopravvalutazione delle loro potenzialità dovuta a “ragioni di politica interna”. 

Cosa c’è dietro a queste manovre? Innanzitutto, si tratta dell’uscita definitiva da un sistema di reciproca dipendenza fra Europa e Russia, che si è si è basata sul commercio del gas. E’ un’uscita traumatica: appena alcuni mesi fa il gasdotto Nord Stream 2, ultimato a fine estate, sembrava porre un’ulteriore rafforzamento dell’interdipendenza fra le due aree. 

“Secondo l’Unione europea, la Russia fornisce il 34% del suo gas naturale, il 25% delle sue importazioni di petrolio e il 45% delle sue importazioni di carbone… le importazioni russe forniscono quasi la metà del gas naturale di Germania e Italia e nei paesi più piccoli dell’Ue, più a est, la cifra si avvicina al 100%”, hanno ricordato Neil Millar e Alistair Godrich, due analisti di Lazard Asset Management

Dipendenza dal gas naturale russo per Paese. Fonte: Lazard Asset Management.

Anche la Russia, tuttavia, vede nell’Europa una delle sue maggiori fonti di approvvigionamento di valuta forte – ottenuta proprio attraverso l’esportazione di prodotti energetici. L’Europa vale “poco meno di un terzo delle entrate totali del governo russo”.

 

L’Europa è una destinazione chiave per le esportazioni energetiche russe. Fonte: Lazard Asset Management.

Si comprende più facilmente a questo punto perché la Russia, di fronte al distacco europeo dai suoi prodotti energetici, alzi i toni definendo questa scelta un come “suicidio”. Al netto della propaganda, tuttavia, resta il fatto che il mutamento improvviso delle fonti di approvvigionamento energetico comporta costi più elevati per le famiglie e le imprese europee. 

“La più grande risorsa alternativa” per l’Europa, “rappresenta la sfida più grande: il gas naturale liquido, o Gnl. Qualsiasi aumento consistente della domanda dell’Ue aumenterebbe in modo sostanziale la pressione e i prezzi in un mercato che già fatica a soddisfare gli impegni concorrenti di Cina, Corea del Sud, India e Giappone”, hanno affermato i due analisti di Lazard Fund Managers. “Un ostacolo ancora maggiore è rappresentato dalla mancanza di infrastrutture. Mentre i gasdotti europei verso la Russia sono attivi e funzionanti, non lo sono le strutture portuali europee in grado di scaricare il Gnl nei volumi previsti”, hanno aggiunto, “secondo uno studio, l’attuale capacità europea di Gnl ammonta al 62% dell’energia totale fornita dai gasdotti provenienti dalla Russia e la costruzione di terminali Gnl richiede fino a cinque anni”. 

Considerando i tempi necessari per incrementare la capacità produttiva proveniente dall’eolico e dal solare, ma anche del nucleare, le alternative più realistiche per colmare il buco delle forniture russe saranno necessariamente di ‘vecchia scuola’. “Il carbone, nonostante le sue carenze ambientali, offre una valida alternativa al gas naturale russo. Anche se gran parte dell’attuale approvvigionamento europeo proviene dalle miniere russe, il carbone è un minerale abbondante e fungibile a livello globale, relativamente economico da sfruttare. Le navi da carico possono trasportarlo in Europa dall’Australia e dagli Stati Uniti”, hanno affermato Millar e Godrich. Dopo il carbone, c’è la speranza che l’offerta globale di petrolio sia positivamente impattata dalle scelte dell’Opec e dalla riammissione sul mercato internazionale dell’Iran, su cui gli Usa negoziano da mesi. “L’Iran, per ora limitato dalle sanzioni internazionali, potrebbe nel tempo aggiungere 1 milione di barili alla produzione mondiale giornaliera”, hanno detto gli analisti di Lazard, “i principali produttori Opec, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iraq, finora riluttanti ad aumentare la produzione, hanno il potenziale per produrre altri 1-2 milioni di barili”. 

Nell’immediato, le famiglie europee si troveranno a pagare un conto più salato per la propria bolletta con un effetto notevole sul reddito disponibile. È una mossa che comunque dovrebbe sortire l’effetto sperato sulle finanze russe dal momento che Mosca “non può sostituire facilmente i mercati europei e la costruzione di gasdotti lunghi migliaia di chilometri che colleghino i suoi giacimenti di gas naturale ai clienti in Asia sarebbe estremamente costosa, lunga e forse proibitiva”. 

Nonostante le contromisure immediate, l’effetto a lungo termine della crisi ucraina sulla politica energetica dell’Europa non potrà che favorire l’ulteriore sviluppo delle rinnovabili, hanno concluso gli autori: “Più che le preoccupazioni croniche per il cambiamento climatico, lo shock acuto dell’eccessiva dipendenza da una potenza ostile potrebbe, a nostro avviso, accelerare lo sviluppo e la diffusione di fonti di energia affidabili e non inquinanti”. 

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