Il 2022 sui mercati: la pandemia non è tutto

Le conseguenze legate alla pandemia sui mercati sono state numerose. Ogni stato ha deciso di fronteggiarle con priorità e metodi differenti, ognuno riscontrando le proprie conseguenze del caso. Analizziamo di seguito i diversi scenari

Differenti sono stati gli approcci adottati dai vari paesi in risposta ad un’unica crisi sanitaria ed economica mondiale, con altrettanti risvolti sia positivi che negativi che si confermano nei mesi. Ma attenzione: oltre la pandemia c’è di più, specie in vista del 2022.

Mentre la campagna vaccinale procede e prova a contenere la minaccia del Covid-19 nelle economie sviluppate, i governi delle grandi potenze mondiali hanno deciso di implementare politiche monetarie e fiscali diverse per sostenere la crescita. Uno degli effetti collaterali comuni principali è stato l’aumento dell’inflazione, dovuto, oltre che alla ripresa post-pandemica spinta dalle politiche governative, anche ai colli di bottiglia creatisi nei processi di produzione, che hanno indotto la carenza di una serie di materie prime e un loro successivo aumento di prezzo.
Con gli esperti di Lazard Asset Management, analizziamo come Europa, Stati Uniti e Cina hanno deciso di affrontare il problema della crescita dell’inflazione e altre sfide che li accompagneranno nel 2022.

La risposta prudente dell’Europa

Durante la conferenza tenutasi lo scorso 28 ottobre 2021 a Francoforte, Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea (Bce), ha dichiarato che il Consiglio direttivo continuerà a condurre gli acquisti netti di attività nell’ambito del Pandemic emergency purchase programme (Pepp) almeno fino a marzo 2022, ma con un ritmo inferiore e comunque in maniera flessibile in base alle condizioni di mercato. Secondo Ronald Temple, Managing Director, Co-Head of Multi-Asset e Head of US Equity per Lazard Asset Management “è probabile che la Bce rimanga estremamente accomodante e che l’inflazione transitoria nell’area dell’euro sia meno persistente che negli Stati Uniti”. L’esperto ritiene inoltre che potrebbe esserci una crescita per l’economia della zona euro pari a circa il 5,0% quest’anno e un ulteriore incremento del Prodotto interno lordo (Pil) dell’Unione Europea (Ue) nel 2022. Nonostante il contesto generalmente positivo, permangono dei rischi per gli investitori obbligazionari europei, poiché esiste una reale possibilità che l’inflazione sia più pronunciata del previsto.

Effetti pandemici sì, dunque, ma cosa c’è di più sui mercati? Numerosi cambiamenti avverranno per quanto riguarda il quadro politico: dall’insediamento del nuovo governo tedesco, alle elezioni in Francia, alle barriere commerciali in Irlanda e alle riforme strutturali in Italia, le incognite rimangono numerose.

Non solo tapering: gli Stati Uniti

Negli Stati Uniti, l’efficacia del piano vaccinale, lo sfogo della domanda repressa e le riforme fiscali offrono le basi per una forte crescita nel 2022. Per quanto riguarda le politiche fiscali, secondo gli esperti di Lazard, gli ingenti stimoli elargiti dall’amministrazione Biden potrebbero incoraggiare la crescita fino al 2026. Ne sono un esempio l’Infrastructure Investment and Jobs Act e il piano Build Back Better da 1,75 trilioni di dollari.
Sul fronte delle politiche monetarie, l’inflazione resta invece una fonte di incertezza. L’obiettivo da raggiungere sul lungo termine è pari al 2%, contro un dato di novembre che si è attestato al 6,8%, maggior livello degli ultimi 40 anni.

In questo scenario di ripresa post-pandemico, in cui anche gli Stati Uniti non possono permettere all’inflazione di correre troppo, le decisioni governative rimangono delicate. Gli esperti sostengono che è probabile che la Federal Reserve (Fed) rimanga di supporto all’economia, procedendo speditamente con il tapering, ma restando cauti circa l’inasprimento dei tassi di interesse, considerato ancora improbabile nel 2022. “La riconferma del presidente Powell per un nuovo mandato rappresenta un fattore ti continuità circa la politica monetaria futura”, afferma Temple.

La Cina punta alla qualità

Caso differente è quello della Cina, dove il governo centrale continua nella fase di valorizzazione della qualità della crescita rispetto alla “quantità”. Le regolamentazioni emanate sembrano indirizzate ad affrontare le disuguaglianze estreme. L’enfasi viene posta sulla “prosperità comune” e sulle questioni sociali, come il controllo sul prezzo delle case (il settore è attualmente sull’orlo del default) e i costi dell’educazione. L’intervento normativo riguarda anche i giganti del settore tecnologico e punta a ridurne potere e redditività, orientando il capitale umano e finanziario verso obiettivi strategici.
La Banca popolare cinese (PBoC) ha avviato un allenamento mirato, mentre la crescita rallenta e i prezzi aumentano.

Su cosa concentrarsi, dunque, guardando alla Cina? Su persone e sostenibilità. “Demografia e cambiamento climatico sono i principali venti contrari alla crescita più a lungo termine”, afferma Temple. Il primo, perché nonostante l’allentamento della politica cinese del figlio unico nel 2015 e del secondo figlio nel 2021, il calo dei tassi di natalità e l’aumento dell’aspettativa di vita inducono gli esperti a ipotizzare che la popolazione cinese potrebbe ridursi fino a 500 milioni nel 2100. Il secondo perché la Cina, nonostante punti ad azzerare le emissioni entro il 2060, è ancora fortemente dipendente dal carbone.

 

 

 

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