Investire alternativo: la doppia anima del private equity

Gli asset alternativi rivelano il proprio potenziale grazie alla scarsa correlazione con gli investimenti tradizionali. Tra questi, il private equity, strumento di crescita e internazionalizzazione d’impresa

Private equity non solo come mezzo di diversificazione per gli investitori, ma anche come strumento di crescita e internazionalizzazione d’impresa. Ne abbiamo parlato con Gianni Renato Abbondanza, Wealth Manager di IWBank Private Investments.

 

Partendo da un quadro più generale, perché può essere interessante investire nel private equity?

Investire nel private equity è interessante per tre ordini di ragioni che avremo poi modo di approfondire nel dettaglio: per ottenere rendimenti di medio lungo periodo; in secondo luogo, per diversificare il portafoglio complessivo; infine, per contribuire alla crescita del tessuto industriale del Paese investendo direttamente nelle aziende (facendosi carico, quindi, di un ruolo sociale).

 

Qual è il cliente “tipo” che si approccia al private equity?

Il private equity si rivolge prevalentemente a due tipologie di investitori. L’imprenditore, che di per sé ha una maggior percezione di cosa significhi investire in azienda e conosce direttamente lo strumento, e l’investitore evoluto e con ampi patrimoni, più esperto nella gestione di portafoglio e per questo più preparato a impegnarsi in un asset complesso: si tratta infatti di un investimento illiquido, senza finestre di uscita.
Va inoltre tenuto conto del fatto che, quando ci si posiziona su una asset class del genere, non ha senso né fare investimenti troppo piccoli (un posizionamento sotto il 5% non permetterebbe di beneficiare davvero dei vantaggi sopra citati), né troppo importanti (generalmente un posizionamento superiore al 10-15% del portafoglio rischia di sbilanciarlo eccessivamente). In questo, la figura del Wealth Manager è fondamentale.

 

Cosa dire circa il livello complessivo di rischio?

Credo che, quando si parla di private equity, l’accezione del rischio vada un po’ rivista: sebbene si stia parlando di un asset illiquido, vulnerabile all’andamento delle aziende in cui è investito, non dovrebbe rappresentare una percentuale preponderante del portafoglio complessivo dell’investitore. Il private equity assume, infatti, un ruolo chiave come fattore diversificante e potenziale fonte di rendimento. Inserito all’interno di una strategia commisurata alle esigenze del cliente, tale investimento non aumenta il rischio complessivo di portafoglio nel lungo periodo, ma ne aumenta le opportunità.

 

Quali forme di investimento in private equity sono disponibili ed accessibili per gli investitori?

In Italia esistono varie forme tecniche per entrare nei piani di crescita pluriennali delle aziende promettenti. Oltre ai più tradizionali fondi chiusi di private equity (di solito a chiamata, con un capitale diluito nel tempo in base alle occasioni di mercato), si possono considerare anche strumenti con tagli inferiori che beneficiano di importanti vantaggi fiscali e successori, quali pir alternativi o eltif.

 

Quanto private equity mettere quindi in portafoglio?

A tale domanda non c’è una risposta precisa. Il peso di un investimento private equity in portafoglio dipende da diverse considerazioni: si basa su una attenta analisi che valuta numerose variabili quali la dimensione del portafoglio complessivo, l’età, la situazione familiare e di pianificazione successoria, la sensibilità del singolo al tema e l’eventuale peso dell’azienda sul patrimonio familiare (nel caso di un imprenditore). Ancora una volta, il ruolo del consulente è cruciale nella fase di ascolto e formulazione di una proposta adeguata. Ogni cliente è uguale solo a sè stesso, e non ci può essere una ricetta unica.

 

Abbiamo finora parlato del private equity come investimento. Cosa dire invece dell’imprenditore che si affaccia a questo mercato con la propria azienda?

Quella menzionata è una tematica molto importante che vale la pena approfondire. Il private equity rappresenta infatti uno strumento di crescita fondamentale per le imprese di media dimensione (la maggioranza sul mercato italiano), come fonte di crescita, valorizzazione del management e internazionalizzazione, senza necessariamente cedere quote di maggioranza aziendale.
Oltre al private equity l’imprenditore può valutare altre soluzioni quali l’intervento di un Family Office, la partecipazione diretta di gruppi più grandi interessati a crescere in settori vicini al loro core business e la possibilità, anche per aziende medio piccole, di accedere direttamente al mercato dei capitali attraverso la quotazione.
Ponendoci dalla parte del cliente imprenditore, il Wealth Manager, anche in questo caso, deve essere in grado di fornire la giusta consulenza, indirizzandolo nelle scelte aziendali. Il consulente può aiutare l’imprenditore ad affidarsi ad esperti di settore per costruire un piano industriale che consenta di fare emergere i punti di forza di interesse per i fondi di private equity. Come mi piace ricordare, spesso l’imprenditore ha più a cuore l’azienda che i propri risparmi: la miglior chiave per la sua pianificazione patrimoniale è parlargli di crescita aziendale e prospettive.

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