Allerta bias: paura e speranza non aiutano l’investitore

Lascia correre i guadagni, taglia le perdite. Un consiglio di investimento che spesso non viene ascoltato (ma addirittura capovolto). Per timore o per speranza, infatti, spesso l’investitore compie scelte affrettate. Attenzione, però: non è la mente a farci allontanare dai binari della razionalità, bensì un errore cognitivo

Si chiama “disposition effect” ed è la tendenza dell’investitore a mantenere titoli in perdita (con l’auspicio di riguadagnare cio? che ha perso) e a vendere subito titoli in crescita (per il timore che il profitto possa annullarsi). Speranza e paura sono quindi due facce della stessa medaglia che spesso portano a compiere scelte affrettate e irrazionali. Ne abbiamo parlato con Tommaso Stoppielli, Wealth Manager di IWBank Private Investments.
 

Disposition effect: come riconoscerlo per non cadere in errore?

Il disposition effect è fra i bias ‘storici’ più noti e riconoscibili nel mondo della finanza. Lo conferma anche un vecchio adagio: ‘lascia correre i guadagni, taglia le perdite’. Tuttavia, quando l’investitore viene posto davanti alla domanda se vendere un titolo in perdita o uno in guadagno, spesso la scelta ricade sul secondo, contraddicendo così quanto ‘consigliato’ dalla saggezza popolare e commettendo un errore.
La parola ‘errore’ è infatti quella con cui si traduce il termine ‘bias’, ma se si guarda alla sua etimologia questa significa piuttosto ‘obliquo, inclinato’, una sorta di ‘deviazione’ del giudizio, un’interpretazione personale delle situazioni che qualche volta porta ad effettuare scelte affrettate. Ultimamente i bias cognitivi sono caratterizzati da un’accezione negativa, soprattutto nel mondo della finanza: la semplicità o la paura ci spingono a bollare come erroneo ciò che non riusciamo a comprendere bene. Un bias invece è molto più complesso: i nostri pensieri e le nostre emozioni, se lasciate correre lungo il piano inclinato dei nostri processi cognitivi, ci portano a scelte irrazionali, talvolta inspiegabili.
Quello che è il nostro stesso modo di essere va quindi accettato con umiltà, e non ripudiato. I bias cognitivi non sono un errore, ma semplicemente una parte di noi. Infatti in qualunque processo decisionale spinte irrazionali e forze razionali (che negli studi del padre dell’economia comportamentale Daniel Kahneman prendono il nome di Sistema 1 e il Sistema 2) giocano la loro partita. Per ragioni ataviche, le prime spesso vincono sulle seconde: siamo portati a prendere decisioni mossi dalle emozioni, di pancia, anziché dalla ragione.
 

Possiamo citare un caso concreto in cui il disposition bias stava per trarre in errore un cliente, e di come si è poi riuscito ad evitarlo?

Certamente, il periodo che abbiamo attraversato ne è un esempio perfetto. Alcuni mesi fa, il petrolio WTI (West Texas Intermediate, un tipo di petrolio greggio spesso usato come valore standard per determinare il prezzo della materia prima sui mercati, ndr) è sprofondato, arrivando ad una quotazione addirittura negativa. Diversi investitori nel mondo, presi dal panico, hanno scelto di chiudere le proprie posizioni, vendendo in forte perdita. In quei giorni ho voluto analizzare, insieme ai clienti interessati, le motivazioni e gli obiettivi che li avevano portati ad investire nel WTI. Davvero erano convinti che il prezzo di un barile di petrolio sarebbe rimasto vicino allo zero? Non era probabile che, una volta superata la tempesta, il valore tornasse a salire? Oggi il WTI vale circa 41 dollari al barile.
Attenzione, però: ragionare in termini assoluti quasi mai ripaga. Infatti non è necessariamente errato vendere un titolo in perdita così come uno in guadagno, bisogna valutare caso per caso. L’unica certezza è che spesso i problemi non ci appaiono limpidi proprio perché li stiamo guardando attraverso lenti ‘appannate’ dai nostri bias!
 

Legato a questo bias vi è il cosiddetto “market timing”, ovvero la convinzione che spesso è possibile prevedere l’andamento dei mercati. Perché e come questa strategia può danneggiare le scelte dell’investitore?

Qualsiasi investitore vorrebbe compiere ‘le scelte giuste al momento giusto’, tuttavia questo spesso non succede. Banalizzando, il market timing suggerisce di non comprare un titolo che è cresciuto troppo, ma di aspettare il momento giusto. Affidarsi solamente a queste teorie però può generare degli errori valutativi.
È il caso di Amazon, gigante dell’e-commerce (ormai non solo) che tutti conosciamo. Ad inizio 2017 il titolo valeva all’incirca 750 dollari, 150 in più dell’anno precedente. Passiamo ad inizio 2018: la quotazione era salita fino a 1,200 dollari. Quale strategia di market timing avrebbe valutato come appetibile un titolo cresciuto così tanto in così poco tempo? Ecco, oggi un’azione di Amazon vale circa 3150 dollari.
 

Parliamo di titoli in perdita: un consiglio per evitare di procrastinarne la vendita?

Sono diversi i clienti che annoverano nel loro portafoglio azioni di società ormai prive di valore. Spesso non solo tali titoli sono rimasti in loro possesso fino al fallimento o al delisting, ma addirittura sono passati attraverso onerosi aumenti di capitale, sottoscritti confidando di recuperare prima o poi il valore originario ma, in realtà, aumentando solo l’esposizione. In questo agire vi è però un problema: la speranza, la voglia di negare l’evidenza sono emozioni che rendono ancora più inclinato il piano delle nostre scelte emozionali. Si è quindi portati a procrastinare, in una duplice attesa: la prima nella speranza che il titolo possa recuperare, la seconda nell’evitare di compiere la scelta dolorosa di vendere in perdita.
Il mio consiglio è quindi quello di avere la forza di ammettere un errore e superarlo: nessuno è infallibile, ma tutti possono imparare dai propri errori.
 

Non solo disposition effect: i bias cognitivi traggono in errore molti investitori in diverse modalità ed è quindi importante farsi guidare dagli esperti. Qual è il ruolo del consulente nel proteggersi dai bias?

Oggigiorno abbiamo a disposizione una delle armi più potenti di tutte: la conoscenza. Il ruolo del consulente in questo contesto è quindi quello di saper ri-conoscere i bias che governano le scelte di investimento ed essere in grado di guidare i processi decisionali sui binari della razionalità. È un compito arduo: le emozioni utilizzano toni più alti e acuti della razionalità ed è necessaria tanta disciplina per resistere al canto delle loro sirene.
Il consulente deve mettere la ragione davanti a tutto, perché è questa la base per costruire un buon portafoglio di investimenti. Conoscere a fondo gli strumenti di analisi macroeconomica, fondamentale e tecnica, così come il non farsi influenzare dalle normali oscillazioni del mercato, è fondamentale per poter utilizzare questi strumenti a nostro vantaggio e per trovare conferme nell’aggrovigliata giungla dei bias cognitivi.
Inoltre, il consulente che vuole guidare la propria clientela verso decisioni il più possibile razionali deve avere la forza di mettere in dubbio le convinzioni del cliente, sforzarsi di trovare l’errore all’interno del processo decisionale senza farsi guidare necessariamente dal prezzo del momento.
Ecco che la razionalità aiuta proprio a far accettare, e non ripudiare, le proprie emozioni: sono due sfere che possono convivere. Sono convinto che la prossima sfida delle scienze economiche verterà sulla capacità di riunire sotto una nuova teoria tutti questi aspetti che, ad oggi, ci sembrano forze antagoniste, ma che in realtà non sono altro che tasselli dello stesso mosaico.

 

Tommaso Stoppielli, Wealth Manager in IWBank Private Investments

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