Growth vs Value: una distinzione da rivedere?

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Di fronte a economie che evolvono e mercati che diventano sempre più complessi, la classica distinzione tra titoli Growth e Value potrebbe non essere più valida. Ecco come ripensarla, secondo Goldman Sachs Asset Management

In un mondo sempre più complesso, le tradizionali categorie che caratterizzano il mercato da decenni potrebbero rivelarsi inadatte. Come quella granitica dei titoli Growth e Value, che identificano stili di investimento ben distinti e alternati. Secondo Goldman Sachs Asset Management, infatti, potrebbe essere giunto il momento di cambiare prospettiva: “Le fonti di crescita delle imprese stanno cambiando, per cui le tradizionali denominazioni di investimento Growth e Value stanno diventando meno evidenti”, avverte la società di gestione americana, invitando così ad adottare un approccio più olistico a ciò che determina l’alfa per le azioni di una determinata società.

Tra Growth e Value, è davvero necessario scegliere?

Il concetto di Value e Growth è stato introdotto per la prima volta nel 1922 da Eugene Fama e Kenneth French, con questa distinzione:

Titoli Value

Azioni con un elevato rapporto tra valore contabile e valore di mercato, cioè hanno un prezzo basso rispetto al loro valore “intrinseco” (ossia valore contabile), ma sono caratterizzati da alti rendimenti da dividendi. I flussi finanziari relativi a questi titoli sono tipicamente distribuiti in modo uniforme e per questo sono meno sensibili ai cambiamenti dei tassi di interesse

Titoli Growth

Azioni con un basso rapporto tra valore contabile e di mercato, sono in grado di far crescere potenzialmente i loro flussi finanziari nel tempo e generare un maggiore rendimento delle attività. Questi derivano gran parte del loro valore dal cash flow nel tempo, per questo risultano molto sensibili ai cambiamenti dei tassi di interesse.

Per queste loro caratteristiche, quando il capitale è molto costoso, ovvero quando l’inflazione è alta e, di conseguenza, le banche centrali alzano i tassi di interesse per frenarla, gli investitori preferiscono puntare su titoli di durata più breve, ovvero i Value, mentre nel caso di capitale poco costoso, la tendenza è di investire nel futuro e quindi preferire i titoli Growth. Tenuto conto di questo, guardando al passato si osserva che il comparto Value ha dominato il periodo tra il 1970 e l’inizio del 2007. Viceversa, il Growth ha invece prevalso dalla metà del 2007 fino alla pandemia Covid, dopo la quale il Value ha ricominciato a sovraperformare.

Insomma, in via generale, i titoli Value e Growth sono caratterizzati da driver secolari ben distinti: il dominio del Value tende ad affermarsi quando l’inflazione è elevata, la crescita è forte e i tassi sono alti. Al contrario, i titoli Growth spesso sovraperformano quando l’inflazione è bassa, la crescita economica è relativamente debole e i tassi sono bassi e in calo.

Cosa aspettarci ora? Secondo Goldman Sachs Asset Management, il contesto macro sembra favorire il Value per il prossimo anno. Nonostante l’inflazione stia decrescendo, è probabile che rimarrà sopra i target delle banche centrali (ossia sopra il 2%) fino al 2024. Di conseguenza, appare improbabile che le banche centrali decidano di tagliare di colpo i tassi di interesse. E anche se la crescita ha subito un rallentamento, per ora risulta comunque migliore rispetto alle aspettative di qualche mese fa. 

Guardando più in là nel tempo, il dominio tra Value e Growth dipenderà dai livelli di crescita economica e dai tassi di interesse, ovvero dall’inflazione. E secondo la casa di gestione americana, nel lungo termine “la crescita sarà più volatile” e “l’alta inflazione che sta attraversando il mercato non sarà transitoria, ma neppure persistente, bensì strutturale, guidata da fattori come l’invecchiamento della popolazione, la deglobalizzazione e la decarbonizzazione”. In una situazione simile, ecco che il confine tra Growth e Value diventerà sempre più sfocato: “In questo contesto – avverte Simona Gambarini, Senior Market Strategist di Goldman Sachs Asset Management – è probabile che la netta distinzione tra Value e Growth si affievolisca”.

Già oggi esistono alcune limitazioni nel modo in cui vengono costruiti i benchmark. Ad esempio, circa 170 titoli dell’indice MSCI World – circa il 10% dell’universo – sono presenti sia nell’MSCI World Value che nell’MSCI World Growth. Questo rafforza la necessità di guardare al di là di questa distinzione come fattore di scelta di investimento.

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Un nuovo approccio

Affidarsi a qualsiasi tipo di etichetta categorica per gli investimenti potrebbe non essere l’ideale. Che fare, quindi? “In un mondo dove il tipo di leadership cambia molto frequentemente e i megatrend secolari continuano a svilupparsi in sempre più regioni del mondo, costruire un portafoglio strategico che comprenda una gamma completa di titoli Growth e Value potrebbe rappresentare una scelta di successo”, spiega Gambarini.

In altre parole, avere un portafoglio che comprenda vari comparti, dal Growth al Value, includendo anche differenti settori e diverse arie del mondo, potrebbe assicurare una posizione ben più solida.



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