Target di inflazione: se il 3% diventasse il nuovo 2%?

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Cosa accadrebbe se l’obiettivo di inflazione fissato dalle principali banche centrali passasse dal 2 al 3%? Il potenziale impatto sui portafogli secondo gli esperti di Goldman Sachs Asset Management, per non farsi trovare impreparati

Vi ricordate quando l’anno scorso, Jerome Powell, numero uno della Federal Reserve, continuava a ripetere che l’inflazione sarebbe stata transitoria? Beh, oggi è chiaro che la corsa dei prezzi è nient’affatto di breve durata. Anzi, lo shock inflattivo è probabilmente destinato a subire un effetto trascinamento nel tempo, attualmente sottovalutato. Secondo Goldman Sachs Asset Management, ci sono addirittura ragioni per ritenere che l’aumento dell’inflazione sia più che altro “strutturale”, in vista di forze, come l’invecchiamento demografico, la deglobalizzazione e la decarbonizzazione, che si stanno muovendo all’orizzonte. Di fronte a questo scenario, cosa accadrebbe se i responsabili delle politiche monetarie, rivedessero l’obiettivo di inflazione da raggiungere, portandolo dal 2% al 3%? Gli esperti di Goldman Sachs Asset Management hanno analizzato le ipotetiche ripercussioni di questo scenario sulle diverse asset class e quindi sul portafoglio di investimento.

Il target di inflazione al 2% è ancora adeguato?

Di certo, un cambiamento simile non sarebbe possibile farlo dall’oggi al domani, né tantomeno senza difficoltà. Innanzitutto, perché una mossa di questo genere, soprattutto se effettuata in questo momento di prezzi elevati, verrebbe letta dai mercati come un’ammissione da parte delle banche centrali dell’incapacità di riportare l’inflazione al target del 2%, minando definitivamente la loro credibilità. E poi, perché per molte banche centrali la definizione del loro mandato è legata a doppio filo dalla politica. Detto questo però, è anche vero che il quadro di riferimento delle banche centrali per l’inflazione è stato definito alla fine degli anni ’90 e nel frattempo molte cose sono cambiate. “Gli spostamenti della produttività, la globalizzazione delle catene di approvvigionamento, il diverso panorama istituzionale e, forse l’aspetto più importante, le prospettive demografiche sostanzialmente diverse per molti mercati sviluppati nei prossimi 25 anni, suggeriscono che nei prossimi anni potrebbe essere giustificata una revisione dell’adeguatezza del 2%”, sostengono da Goldman Sachs Asset Management. Infatti, bisogna ricordare che i target per l’inflazione variano in tutto il mondo e, sebbene tendano a convergere verso il 2% per la maggior parte dei paesi sviluppati, non sono scritti nella pietra.

L’impatto sulle diverse asset class

Comunque sia, indipendentemente dal fatto che si debba o meno cambiare l’obiettivo di inflazione, è interessante analizzare come potrebbero reagire i mercati finanziari se si passasse a un target del 3%. In particolare, non tanto la reazione immediata a questo cambiamento, ma piuttosto cosa potrebbe significare per le varie asset class nel lungo termine e quindi per un portafoglio multi-asset diversificato. Eccole, secondo Goldman Sachs Asset Management:

  • Sui tassi di interesse, probabilmente, si avrebbe l’impatto più evidente, con rendimenti più alti e spread della zona euro più stretti. “La nostra valutazione – precisano dalla casa di gestione americana – è che un tale cambiamento sarebbe molto più credibile per gli Stati Uniti e il Regno Unito che per l’area dell’euro o il Giappone. Detto questo, se la Bce riuscisse ad attuare una simile modifica, sospettiamo che obiettivi di inflazione più elevati rappresenterebbero un inasprimento degli spread sovrani dell’area dell’euro e degli spread swap, perché probabilmente migliorerebbero le dinamiche del debito pubblico, eliminando parte dello stock di debito”.
  • Sulle azioni, l’impatto sarebbe positivo. “Un aumento degli obiettivi di inflazione delle banche centrali sarebbe generalmente favorevole agli asset di rischio, in quanto tale mossa sarebbe probabilmente di natura pro-ciclica”. Naturalmente, non tutti i settori beneficerebbero in egual misura di un simile cambiamento. “Le società con passività a lungo termine a tasso fisso, compresi i REITS, e con ricavi legati ai tassi di interesse e alla ripidità della curva dei rendimenti, come i titoli finanziari, sarebbero probabilmente i maggiori beneficiari”. Ma anche le società con un forte potere di determinazione dei prezzi dovrebbero ottenere un buon riscontro in questo contesto, in quanto sarebbero in grado di trasferire al consumatore finale l’aumento dei costi di produzione senza erodere i loro margini. Inoltre, le aziende che offrono soluzioni innovative, aiutando così le altre imprese a migliorare la produttività e a ridurre i costi, potrebbero essere avvantaggiate.
  • Per quanto riguarda il credito, un obiettivo di inflazione più elevato, pari al 3%, nelle principali economie sviluppate sarebbe ampiamente positivo, con un probabile restringimento degli spread grazie a una crescita economica più sostenuta. Tuttavia, anche in questo caso, non tutti i settori ne beneficerebbero nella stessa misura. “Curve più ripide e tassi d’interesse più elevati sarebbero particolarmente vantaggiosi per i titoli finanziari. – precisano da Goldman Sachs Asset Management – Anche le compagnie di assicurazione potrebbero trarre vantaggio da questa dinamica, se ciò consentisse loro di investire i premi a rendimenti più elevati”. Gli effetti sui settori ciclici, come quello dei consumi e del commercio, potrebbero essere invece discordanti a seconda del ritmo di crescita e del potere di determinazione dei prezzi. Meno chiaro, sarebbe l’impatto sul credito dei mercati emergenti, perché se da un lato potrebbe subire le migliori aspettative di rendimento (corrette per il rischio) delle obbligazioni dei paesi sviluppati, dall’altro potrebbe vedere aumentare l’attrattività relativa di alcuni bond, come quelli degli esportatori di materie prime, di fronte a un obiettivo di inflazione più elevato nel mondo sviluppato.
  • Infine, le attività reali, come gli immobili, potrebbero essere i beneficiari chiave di obiettivi di inflazione più elevati (grazie al fatto che i loro valore è legato ad asset fisici), soprattutto se accompagnati da una forte crescita economica. In particolare, “un tipo di asset reale che, a nostro avviso, beneficerebbe in modo determinante di un rialzo degli obiettivi di inflazione delle banche centrali è rappresentato dalle materie prime, soprattutto se si considera che la greenflation (un forte aumento dei prezzi dei metalli e dei minerali utilizzati nella creazione di tecnologie rinnovabili) è uno dei motivi per cui le banche centrali prenderebbero in considerazione la possibilità di modificare il proprio obiettivo di inflazione”.

Quali conseguenze per il portafoglio

Le ipotesi di Goldman Sachs Asset Management suggeriscono che le azioni rimarrebbero al centro del portafoglio per tenere il passo con l’aumento dell’inflazione. Da privilegiare anche le attività reali, insieme alle obbligazioni indicizzate all’inflazione e agli investimenti alternativi, comprese le strategie di hedge fund. In particolare, partendo da un portafoglio 60/40 ben diversificato, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di riallocare il capitale dalle tradizionali azioni dei mercati sviluppati e dal reddito fisso verso attività le cui caratteristiche potrebbero contribuire a una migliore performance in un contesto di maggiore inflazione, tra cui “ le azioni a piccola capitalizzazione, le obbligazioni ad alto rendimento, il debito dei mercati emergenti, i titoli energetici, gli asset reali (sia pubblici che privati), il private equity e il private debt”.


Approfondisci qui la visione di Goldman Sachs Asset Management

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