La strategia ‘reverse Draghi’ e un nuovo Whatever it takes

La guerra in Ucraina riduce solo in parte le aspettative di rialzo dei tassi delle banche centrali. E mentre la corsa dei prezzi continua, la strategia ‘reverse Draghi’ domina ancora. Di cosa si tratta? Ne parliamo con gli esperti di Fidelity International

La ricaduta economica globale della crisi ucraina ha riportato le banche centrali di fronte a una scelta: proteggere la crescita il più possibile senza troppo badare all’andamento dell’inflazione o agire in modo più aggressivo sulla politica monetaria per arginare il rialzo dell’inflazione, avendo come possibile effetto collaterale ripercussioni sulla crescita.
Per quanto Banca centrale europea e Federal Reserve procedano a velocità differenti (la prima ancora accomodante, la seconda più rigida), i due istituti centrali si trovano allineati su un passaggio: il vero game changer di mercato rimane la capacità di comunicare in modo efficace.

La Banca centrale europea (Bce)

Partendo dal fronte europeo, l’attenzione del Vecchio Continente resta principalmente rivolta alla sostenibilità della crescita economica. A spaventare sono anzitutto le restrizioni sui flussi di merci fisiche provenienti dalla Russia, non solo dal punto di vista delle fonti energetiche fossili, ma anche delle materie prime ferrose e agricole.
Ci aspettiamo che la Bce darà priorità alla crescita”, sottolineano gli esperti di Fidelity International, proseguendo con l’allentamento quantitativo fino al terzo trimestre 2022 almeno e garantendo all’economia il sostegno necessario per far fronte a un’eventuale fase di crisi (sia essa finanziaria o di fiducia). Resta comunque alto il focus sul livello di inflazione, che ha superato a febbraio il massimo storico per l’Eurozona al 5,8%.

La Federal Reserve (Fed)

Il main focus americano resta invece fisso sul livello di inflazione: i ripetuti shock sul lato dell’offerta, prima legati al covid, poi alle tensioni geopolitiche, hanno gravato e continuano a gravare sulle aspettative di inflazione (che ha toccato a febbraio il massimo da quattro decenni al 7,9%), appesantite dal rialzo delle materie prime. Tra le altre, il petrolio potrebbe essere il principale canale attraverso il quale la guerra si riverbererà sul livello medio dei prezzi: “Sembra probabile che l’inflazione raggiungerà il suo picco nel secondo trimestre, piuttosto che nel primo” commentano gli esperti, per i quali “la Fed aumenterà tre o quattro volte i tassi d’interesse quest’anno”.

Momento Draghi “inverso”

Già da inizio anno gli esperti di Fidelity avevano analizzato l’eventualità di un momento “reverse Draghi”, intendendo con tale espressione una strategia di comunicazione alla ‘Whatever it takes’ applicata non più al salvataggio di una valuta (l’euro, nel luglio 2012), ma a un riassorbimento dell’entusiasmo finanziario provocato dall’endorfina monetaria. Tramite l’utilizzo di una dialettica mirata, la Federal Reserve ha portato i mercati globali a prendere consapevolezza delle politiche da falco che sarebbero state attuate, generando di fatto a un inasprimento delle condizioni finanziarie prima ancora che queste diventassero realtà.

Mentre la Bce proseguiva lungo una linea di comunicazione più accomodante (cambiando leggermente intonazione solo all’alba del recentissimo meeting di marzo 2022), i toni della Fed hanno iniziato a farsi più duri a partire dall’estate 2021, arrivando però a una mossa effettiva di politica monetaria solo a novembre 2021 (con l’avvio del tapering) e la promessa di un primo rialzo del costo del denaro a marzo 2022.
Pur scendendo in campo con il primo rialzo del costo del denaro dal 2018, “la Fed continuerà a seguire le fila della strategia reverse Draghi”, concludono da Fidelity, fornendo al mercato una nuova stabilità finanziaria, non più basata su iniezioni progressive di liquidità, ma su misure (sia concrete, che dialettiche) volte a combattere la minaccia inflazione.

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