Si tratta di termini e concetti ormai divenuti di uso quotidiano, testimonianza del fatto che il fenomeno delle opere d’arte tokenizzate e operate da smart contract sembra essere sempre più diffuso, conosciuto e utilizzato.
Per la cronaca, l’opera è stata aggiudicata per la cifra record di USD 69,346,250.
Tutti ne hanno parlato, l’evento ha avuto grande risonanza, Christie’s e Mike Winkelmann (AKA Beeple) hanno molto probabilmente festeggiato, ma, a parere di chi scrive, e al di là del clamore suscitato, l’impiego delle nuove tecnologie nel campo della creazione di opere d’arte e delle transazioni sulle stesse non può considerarsi – dal punto di vista prettamente giuridico-legale – come l’“avvento di una nuova era”.
Le vecchie problematiche rimangono, e non sembrano essere superate dalle sempre più frequenti innovazioni informatiche, giuridiche e finanziarie.
Ci sono almeno due importanti questioni giuridico-legali su cui la tecnologia NFT non pare, almeno per ora, poter intervenire in modo definitivamente risolutivo: l’attribuzione dell’opera; la sua autenticità e la contraffazione.
Ma chi ci garantisce che colui il quale crea l’hash dell’opera (e quindi l’NFT) ne sia davvero l’autore? Nuova tecnologia, vecchio problema.
Problema che peraltro assume portata ancora più ampia laddove l’artista non sia più in vita, ma si tenti comunque di tokenizzarne il lavoro (lavoro, si badi bene, spesso non nativo digitale, bensì esistente come oggetto d’arte, fisicamente tangibile): si pensi alla contrapposizione Caravaggio/Damien Hirst.
L’incapacità delle nuove tecnologie di risolvere il secolare problema dell’attribuzione determina poi immediate ripercussioni sul tema dell’autenticità: tanto l’opera di Caravaggio (opera fisica, di artista defunto ormai da lunghissimo tempo) che quella di Damien Hirst (opera concettuale, magari in futuro anche esclusivamente nativa digitale, di artista contemporaneo vivente) possono essere falsificate.
Certo, un NFT è unico e non replicabile, ma modificando anche un singolo, minimo dato del codice hash si potrà ottenere un risultato molto prossimo alla contraffazione, ossia un’opera digitale che differisca da un’altra solo per un elemento, il quale, per di più, una volta trasformato in breve stringa alfanumerica potrebbe non risultare percepibile all’occhio del collezionista, nemmeno del collezionista ipertecnologico!
In definitiva, l’apporto di nuovi strumenti e idee nel settore dell’arte (dalla fase di creazione dell’opera a quella di pubblicazione e scambio della stessa) è certamente benvenuto, soprattutto ove consenta trasparenza, nonché sia foriero di iniziative volte a sostenere gli artisti emergenti, a democratizzare l’arte e a renderla più fruibile per tutti.
Non vanno tuttavia tralasciati gli aspetti critici, non solo in termini di rischi per l’ecosistema (sono note le problematiche relative all’enorme impatto e costo ambientale che l’uso della tecnologia, in particolare delle blockchains e delle criptovalute, comporta) e per il mercato, che certo non ha bisogno di altri selvaggi speculatori, ma anche sotto l’aspetto delle problematiche giuridiche, che rimangono irrisolte.