Transizione green: finale incerto, dietro la regia dei responsabili politici

Le proiezioni dell’Agenzia internazionale dell’energia incoraggiano ad accelerare la transizione green e i responsabili politici hanno il compito di guidare il cambiamento

Affinché nessuno resti indietro, la transizione energetica deve essere veloce e inclusiva. È possibile? Non senza la regia dei responsabili politici.
Raggiungere l’azzeramento delle emissioni entro il 2050 richiederà la completa trasformazione del sistema energetico mondiale. Ad affermarlo è l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) nel report aggiornato ad ottobre 2021 “Net zero by 2050 – A roadmap for the global energy sector”. L’Accordo di Parigi del 2015 ha permesso di registrare notevoli progressi in questa direzione, ma c’è ancora spazio per compiere ulteriori sforzi.

Investimenti necessari alla transizione green

Secondo l’Aie, gli investimenti annuali in energia pulita in tutto il mondo dovranno più che triplicare entro il 2030, fino a circa 4000 miliardi di dollari. Infatti, nonostante gli impegni e sforzi da parte dei governi per affrontare le conseguenze del riscaldamento globale, le emissioni di Co2 sono aumentate del 60% dal 1992, quando è stata firmata la Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici.
“A livello mondiale non si investe in modo sufficiente al futuro fabbisogno energetico” commenta Michel Wiskirski, gestore del fondo Carmignac Portfolio Green Gold. Dal 1990 al 2019, la fornitura prima di energia nel mondo è aumentata del 65,79%. Dopo il crollo nella domanda di elettricità pari a circa l’1% nel 2020, “il fabbisogno energetico è tornato a un livello quasi pari a quello antecedente la crisi sanitaria” spiega l’esperto, “se si desidera effettuare con successo la transizione energetica, non bisogna ridimensionare le fonti energetiche fossili senza aumentare contemporaneamente e in modo significativo gli investimenti nelle energie rinnovabili”.

Il bisogno di un piano comune

La transizione energetica, secondo gli esperti di Carmignac, deve essere inclusiva. La produzione di energia è una filiera molto complessa su scala globale e “occorre coinvolgere le compagnie petrolifere e del gas affinché la loro produzione sia sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico, emettendo allo stesso tempo meno anidride carbonica”. La fine delle energie da fonti fossili non è quindi immediata: le previsioni degli esperti ipotizzano che il calo della domanda di petrolio potrebbe arrivare al 75% entro il 2050, ma dopo il 2030. Gas naturale e nucleare potrebbero contribuire come fonti stabili alternative.
Nei prossimi anni, alla politica spetterà il compito di sostenere il settore, vincendo la sfida della transizione green, ma senza trascurare le circa 40 milioni di persone a livello mondiale che ci lavorano e le molte regioni che ne dipendono. A luglio, l’Unione europea (Ue) ha presentato la tabella di marcia volta a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 55% entro il 2030. Negli Stati Uniti, misure importanti per la questione climatica dovrebbero rientrare nei prossimi piani dell’amministrazione Biden. “Bisognerà vedere come tutto ciò che è stato annunciato verrà concretizzato”, commenta Wiskrski, soprattutto in riferimento alla Cop26. “Non vanno sottovalutati i ritardi dovuti alla burocrazia” aggiunge.

La risposta di Carmignac

“In Carmignac viene adottato un approccio olistico basato sulla nostra capacità di investire, di intraprendere iniziative di engagement, e di influenzare decisioni di governance societaria a tutti i livelli” spiegano i gestori.
Carmignac contribuisce alla transizione green in particolare tramite il fondo specializzato Camignac Portfolio Green Gold. Gli attori su cui si concentra sono tre: produttori di energie pulite, società che contribuiscono a ridurre le emissioni di carbonio ed enti ritenuti problematici a livello ambientale, ma che, se sostenuti, possono vincere la sfida dello sviluppo sostenibile.

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